Il Lifestyle Training e il LifeCoaching integrato

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Ogni sistema bioenergetico umano attiva continui scambi con i fattori esterni e con il sistema ambientale: aria, cambiamenti climatici, pressione, tem­peratura, umidità, alimenti, inquinanti, attività fisica, igiene personale, ecologia sessuale (carica-scarica), alimentazione e dieta (abitudini alimentari).

Nel Lifestyle Training e nel LifeCoaching l’obiettivo è di (1) accrescere la consapevolezza del funzionamento bioenergetico, e (2) agire attivamente, sui rapporti uomo-ambiente per migliorare lo stato di carica energetica.

Seguendo il principio generale delle Regie di Cambiamento, il Lifestyle Training bioenergetico dovrà quindi prevedere l’integrazione tra:

  • interventi di immissione di nuove pratiche nell’attività giornaliera;
  • interventi di immissione di nuove pratiche nell’attività settimanale;
  • interventi di immissione di nuove pratiche nell’attività mensile;
  • interventi di eliminazione (espulsione) di pratiche errate e dannose per l’equilibrio fisico, nei diversi livelli temporali.

I risultati del training si prefiggono in generale un innalzamento delle soglie fisiologiche di affaticamento dei diversi sistemi, una maggiore resistenza allo stress, una maggiore carica complessiva di energia.

Training per il sistema nervoso simpatico e training per il parasimpatico

Il sistema nervoso autonomo gestisce le risposte involontarie dell’or­ga­nis­mo, come il battito cardiaco. Ne fanno parte anche altri sistemi, come il co­mando del sudore, la salivazione, e altri aspetti umani che non sono sotto il controllo diretto della volontà.

Il sistema nervoso autonomo è diviso in due parti:

  • Sistema nervoso simpatico: avvia la risposta corporea agonistica, attraverso meccanismi di “combatti o fuggi”, mettendo il corpo in stato di allerta e sostanzialmente preparandolo al combattimento. Sintomi di attivazione simpatica sono la salivazione che diminuisce, il battito cardiaco aumentato, aumenta la pressione sanguigna per irrorare di sangue i muscoli, la pelle comincia a sudare, i muscoli si contraggono e si preparano per l’azione e la lotta, la digestione viene fermata per dirottare il sangue verso i muscoli, aumenta la velocità respiratoria.
  • Sistema nervoso parasimpatico: ristabilizza i processi corporei per il ritorno allo stato di quiete, rallenta la velocità respiratoria, rallenta il battito cardiaco e la pressione, migliora l’afflusso di sangue allo stomaco e si velocizza la digestione, si rilassano le fibre muscolari.

In condizioni normali, il sistema simpatico viene attivato dalle emozioni quali rabbia o terrore, paura o aggressività, mentre il sistema parasimpatico viene attivato dal riposo e dal sonno ma anche dalla meditazione e dalle tecniche di rilassamento.

Nelle condizioni lavorative e nei contesti ad alte prestazioni, il sistema simpatico (agonistico) è continuamente sollecitato, al punto che l’organismo può avere difficoltà a recuperare un normale ritmo di alternanza tra performance e riposo e trovarsi in perenne stato di attivazione.

Il training bioenergetico e psicoenergetico si prefigge di ampliare le risorse personali attivando le capacità di attingere ad entrambi i sistemi.

Nel training bioenergetico per la componete simpatica (aggressiva), si stimolano e canalizzano le aree dell’agonismo come manifestazione fisica espres­siva e liberatrice dell’aggressività. I meccanismi intrapsichici che si attivano sono la rimozione delle aggressività latenti, e la sublimazione (trasformazione dell’impulso aggressivo in una azione socialmente accettabile).

A livello sociale invece si attivano i meccanismi di catarsi e della ritualizzazione.

Nel training bioenergetico per la componente parasimpatica (rilassamento) si stimola la capacità dell’organismo di ritrovare la quiete e il recupero.

Ciò che conta è che l’individuo possa avere accesso a entrambe queste grandi risorse (energie aggressive e energie del rilassamento) e che nessuna di essa sia bloccata.

I blocchi energetici e disfunzioni energetiche emergono quando l’in­di­vi­duo non riesce ad attivare le energie agonistiche o le attiva nei momenti sbagli­ati, ma anche quando non riesce ad attivare le capacità di recupero, e l’or­ganismo rimane per così dire “acceso” ed in stato di tensione anche nei momen­ti in cui desidera il riposo, o desidera affrontare le situazioni di vita (life events) in modo non necessariamente e unicamente agonistico.

Principio 27 – Training simpatico e parasimpatico

La performance umana è condizionata dalla capacità di:

  • sviluppare e canalizzare la componente simpatica (agonistica), dando spazio all’aggressività intrinseca, tramite esercizi fisici, o in azioni non distruttive o dannose (es.: percussioni su colpitori, esercizi derivanti dagli sport agonistici e dalle arti marziali), o in esercitazioni di tipo militare o agonistico; dare sfogo alle pulsioni agonistiche, aggressive, competitive; sublimare le pulsioni;
  • sviluppare la componente parasimpatica: riattivare e potenziare le capacità di recupero, riposo e decompressione, tramite tecniche di rilassamento, meditazione, respirazione, tecniche di training mentale (aprire i canali del recupero e del rilassamento);
  • sviluppare autocoscienza e consapevolezza di quali parti del sistema nervoso siano all’opera nei diversi momenti della giornata, per poter valutare se questi stati interiori siano quelli che cerchiamo nel momento o se stiamo subendo o attivando involontariamente uno stato inadeguato alla situazione (aprire i canali della consapevolezza istantanea sul tipo di attivazione corporea in atto).

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L’analisi dello stato di forma personale

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Per poter agire efficacemente nei programmi personalizzati è necessario conoscere il punto di partenza della condizione o stato di forma.

L’analisi dello stato di forma bio-energetico può essere svolta tramite:

  • test oggettivi di performance: test e prove che misurano una specifica va­riabile legata ad un distretto del sistema o alla prestazione congiunta di più distretti;
  • test di laboratorio: analizzano aspetti chimici e fisici di diverse aree e si­ste­mi;
  • autovalutazioni soggettive: analisi impressionistica praticata dal sogget­to stesso (spesso distorta da fenomeni di distorsione percettiva e atten­zione selettiva);
  • autovalutazioni guidate da check-list: analisi della presenza di sintomi e segnali correlati agli stati dei diversi sistemi, così come percepiti dal sog­getto stesso;
  • colloqui interpersonali con un coach o specialista (medico, preparatore, consulente, terapeuta), il quale utilizzi specifici modelli di que­stionario o intervista atta ad analizzare il tema, o abbia proprie esperien­ze e sensibilità per cogliere segnali deboli da approfondire successiva­mente.

 I test oggettivi di performance e i test di laboratorio

I test di performance analizzano il risultato complessivo del sistema corpo-mente a fronte di un input.

L’input può essere semplice (es.: ruotare le spalle per verificare la mobilità articolare e la rigidità dei muscoli), o complesso: realizzare un percorso ad ostacoli che richiede differenti abilità (salite, discese, passaggi), o la misura di un tempo di reazione ad uno stimolo.

Poiché vi è la compartecipazione di più apparati è necessario essere consapevoli di quali aree effettivamente vengono ad essere misurate con i test.

Sul piano fisico, prendendo a prestito alcuni parametri di valutazione sportiva, sarà possibile analizzare:

  • la resistenza allo sforzo prolungato (endurance);
  • la forza muscolare (forza massimale, es.: peso spostabile in un certo eser­cizio);
  • forza esplosiva (capacità di generare movimenti rapidi);
  • la flessibilità (articolare e muscolare).

Questi test impegnano soprattutto i sistemi cardiovascolari, muscolari e articolari. Altri test, quali quelli di coordinamento motorio, riguardano invece il funzionamento congiunto dei sistemi muscolari e del sistema nervoso.

Tutte le aree e distretti corporei possono essere monitorati nella funzionalità e nello stato di forma, tramite test opportuni.

I test di laboratorio consentono di misurare aspetti non visibili dello stato di carica di diversi sistemi. Rientrano tra questi tutti gli strumenti di diagnostica medica, tra cui:

  • esami di laboratorio (es.: esami del sangue);
  • test di laboratorio in setting controllato (es.: VO2 max per l’analisi dello stato di forma del sistema aerobico, e altri test);
  • test strutturali, es., la composizione corporea (massa grassa e massa ma­gra).

 Autovalutazioni soggettive

Sono le formule più semplici ma anche più suscettibili di errore, in quanto si basano sulla percezione stessa dell’individuo.

Ogni individuo vive all’interno di una serie di filtri percettivi (percezione selettiva, attenzione selettiva, memoria selettiva) che riducono la sua oggettività e rendono difficile una autovalutazione corretta.

Sono comunque utili per avviare un percorso di autoconoscenza e una prima identificazione delle aree critiche auto-percepite, che hanno comunque importanza sul piano soggettivo e psicologico.

 Autovalutazioni guidate da check-list

Sono basate sulla compilazione di test o di batterie di domande a risposta multipla (check-list) in cui sono presentati sintomi di problemi. Dalle risposte fornite è possibile ricavare una serie di indicazioni rispetto al funzionamento dei sistemi analizzati.

Colloquio interpersonale di coaching

Il colloquio interpersonale può utilizzare strumenti strutturati, come un questionario predisposto, strumenti semi-strutturati, come un questionario con parti libere e parti preconfezionate, o strumenti non strutturati, il colloquio in profondità, il colloquio basato su libere associazioni.

L’essenziale, nel colloquio di coaching, è che – mentre procede la rassegna sui vari temi di analisi – il coach impari ad osservare le espressioni non verbali che accompagnano il tema specifico, i segnali che possono trasmettere stati di disagio o problematiche senza che il soggetto le verbalizzi esplicitamente.

La consapevolezza dello stato corporeo

Nessun disagio, nessuna lacuna o mancanza è realmente grave se sappiamo dove è localizzata, da dove viene, come arrestarla.

Il “problema dei problemi” è invece la mancata conoscenza/consape­volezza dei dettagli di un disagio bioenergetico: la (1) misura, (2) localizzazione, e (3) motivazione (il perché è nato o persiste).

Se si riesce a capire la matrice di lifestyle (lo stile di vita, i comportamenti attuati, le abitudini) e di thinkstyle (stili di pensiero) che generano un disagio fisico o problema, è possibile sradicarlo, rimuoverlo alla radice.

Questo vale su ampia scala, sia esso un problema di alimentazione scorretta appresa, un problema di gestione del tempo per il riposo vs. tempo produttivo vs. tempo per il fitness (gestione dei macro-tempi personali), o ancora un problema dovuto a fattori genetici, o ancora a fattori ambientali.

È essenziale appurare ove si colloca e quale è la radice di un malessere bioenergetico.

Prendiamo una indigestione: cosa la ha generata? È stato il cibo o la combinazione di cibi (problema di scelta degli alimenti e delle associazioni alimentari)? È stato il momento della giornata in cui abbiamo mangiato quel cibo (relazione tra capacità digestiva del momento e assunzione di determinate qualità e quantità)? È stata l’attività svolta subito dopo mangiato (elemento di gestione del proprio stile di vita)? O è uno stato di stress emotivo che rende difficile la digestione? Siamo in grado di capire cosa l’ha provocata e come non farla più accadere?

Se non vengono compresi alla radice i comportamenti che provocano disagio bioenergetico, non sarà possibile fare avanzamenti, gli errori si ripeteranno e si aggraveranno.

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Gestire le energie prima, durante e dopo le performance

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La gestione del budget energetico

Quando una prestazione è impegnativa, è necessario apprendere a gestire le energie, durante ma soprattutto prima il momento della performance.

Tra le tecniche si inseriscono la riduzione del consumo di energie nelle fasi di riposo e nei pre-gara o pre-prestazione, utilizzandole proficuamente e solo per riposare o allenarsi con serenità.

Vi sono attività svolte durante le fasi di riposo che sono in realtà assolutamente assorbenti e consumano, come le pubbliche relazioni sgradevoli e le relazioni sociali obbligate. Entrambe le attività attingono alle energie e risorse relazionali.

Un lavoro fisico (es.: nuotare o correre) non è invece in concorrenza con l’assorbimento di risorse di tipo relazionale, e attinge a risorse da budget energetici diversi. Possiamo quindi immaginare il sistema mente-corpo come un insieme di contenitori energetici che scambiano tra di loro energia, come vasi comunicanti. Alcuni di questi vasi comunicanti sono in genere bloccati, altri sono aperti.

Il training bioenergetico insegna al soggetto a regolare intenzionalmente i flussi energetici, ad esempio recuperare energie per l’auto­con­trol­lo attingendo alle tecniche di respirazione, a costruire momenti di recupero in cui lasciarsi andare, ma anche a bloccare intenzionalmente la dispersione di energie che altrimenti accadrebbe senza consapevolezza.

La pratica può riguardare non solo performance atletiche o manageriali, ma anche il piano sociale. Ogni persona può apprendere a staccare al termine della giornata lavorativa, diventare consapevole di quando il budget energetico per le relazioni umane è esaurito, per far si che la sua condizione di esaurimento non vada a discapito del clima familiare (litigio familiare come trascinamento di attività lavorative e stress professionali), e viceversa.

La persona può apprendere come inserire nel proprio stile di vita attività che lo mettono in grado di ricaricare il budget energetico per le relazioni umane, es.: fare una attività sportiva a basso impegno relazionale e ad alto impegno fisico, prima di rientrare a casa.

Questo è solo un esempio di un problema più generale che non va sottovalutato: la gestione delle proprie energie e dei budget di partenza.

 

Principio 25 – Riduzione ed eliminazione delle interferenze sulle performance

  • La performance richiede che l’organismo non venga sottoposto ad ulteriori fonti di assorbimento energetico concorrenti sullo stesso budget energetico, durante la performance stessa.
  • Nelle fasi precedenti la performance, sono positive per la performance le attività di pre-empting (eliminazione di tensioni fisiche e mentali) in grado di ridurre la componente ansiosa e la tensione emotiva eccessiva.
  • La performance può essere aumentata ricercando la condizione bioenergetica ideale nei momenti che la precedono.
  • Le energie cui attinge un budget non devono essere consumate da attività apparentemente diverse ma che in realtà attingono allo stesso budget.

Ogni performance attinge a specifici tipi di risorsa energetica e budget energetici, per cui l’integrità del budget energetico – il suo non uso in altre attività concorrenti – è essenziale per avere il massimo delle performance.

In applicazione del principio evidenziato, ad esempio, manager chiamati a sostenere impegnativi public speaking o riunioni difficili, potranno trarre danno dal doversi impegnare precedentemente in attività relazionali estenuanti, e benefici da attività sportive praticate nelle ore precedenti, che svuotino di energie la componente ansiosa ed emotiva (attività di pre-empting energetico o svuotamento preventivo).

Le energie post-prestazione sono altrettanto preziose: il loro utilizzo mi­gliore è in attività che comprendono la celebrazione del risultato e dell’im­pe­gno profuso, il recupero, ed inoltre l’apprendimento dall’esperienza a caldo, la sua rivisitazione, la ricerca di cosa quell’esperienza possa dare anche per il futu­ro.

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I team ad alte prestazioni

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Caratteristiche del Team ad Alte Prestazioni

Nei team ad alte prestazioni (sportivi, aziendali, militari), le energie non sono curate solo nel momento della performance, della sfida, dell’impegno o gara, ma alimentano ogni singolo allenamento, ogni singola esercitazione, ogni forma di preparazione, ogni singola giornata di lavoro.

Riuscire a costruire un E-Group (gruppo ad alte energie) è una delle sfide più belle dei performer.

Osserviamo questa testimonianza da un gruppo di atleti di bodybuilding professionistici che si ritrova per allenarsi assieme ogni giorno:

Tra me, Johnnie e Jai c’è uno spirito competitivo molto costruttivo e siamo tutti d’accordo sul fatto che chiunque voglia unirsi a noi deve essere pronto a dare il massimo. Un atteggiamento come il nostro si riconosce facilmente ed è impossibile fingere, soprattutto con noi: dopo esserci spinti personalmente oltre i nostri limiti, riusciamo a capire quando qualcuno fa del suo meglio o semplicemente si arrende. Ad ogni singolo set di ogni workout noi tre ce la mettiamo tutta e se non riusciamo a sollevare un determinato carico è perché non ce la facciamo e non perché gettiamo la spugna. Ad un ragazzo che si è allenato con noi un paio di volte abbiamo suggerito di impegnarsi di più, ma non l’ha fatto e così gli abbiamo detto che non era più il benvenuto[1].

[1] Warren, B. (2005), Un 10 per intensità, Flex, maggio, p. 51.

Un team ad alte prestazioni è dominato da regole di appartenenza chiare, soprattutto sugli atteggiamenti che si desiderano nel gruppo, regole di vita e atteggiamenti, e chi non li accetta non fa parte del team.

Larga parte delle aziende che vogliono performance condivide il principio ma poi non lo pratica con la stessa convinzione dell’esempio riportato sopra: svolge selezioni sulle competenze e meno sulla motivazione, giustifica di tutto pur di tenere bassi i toni e il conflitto, fa circolare ipocrisia e pressapochismo anziché meritocrazia ed energie.

Questi atteggiamenti sono il contrario della performance.

Osserviamo alcuni altri dati dalla testimonianza:

… noi non ci perdiamo in chiacchiere, se non per spendere qualche parola d’in­co­rag­gia­mento per aumentare l’intensità, spesso siamo talmente concentrati sul workout che non ci parliamo affatto[1].

[1] Ibidem.

Anche questo atteggiamento di concentrazione fa riflettere sull’impor­tanza attribuita dai performer all’attività che svolgono, e soprattutto viene fuori il fattore motivazionale di contaminazione reciproca positiva:

… mentre uno di noi fa il suo set, gli altri lo spronano: “forza, altre cinque ripetizioni, ce la puoi fare, dacci dentro, non mollare!” Ci coinvolgiamo a vicenda nell’al­le­na­men­to dell’altro, come se fossimo una persona sola; proviamo le stesse emozioni e lo stesso dolore. Ci trasmettiamo talmente tanta energia positiva che è come se quella di uno so­lo venisse moltiplicata per tre[1].

[1] Ibidem.

Un gruppo ad alte energie, come nel caso sopra riportato, ha regole precise di convivenza e si impegna al massimo verso un obiettivo comune, anche se ciascuno deve svolgere la sua parte, la passione per l’esperienza viene condivisa e non ci si sente soli.

Gli E-Groups creano un senso orgoglio e appartenenza (Pride) che rafforza il collante del gruppo. Ogni membro del gruppo produce e offre un senso di presenza costante verso gli altri, partecipa emotivamente, stimola a dare il meglio e a non abbandonarsi al disfattismo o alla rinuncia. In questi gruppi, non si è mai soli.

Produrre questo senso di presenza costante richiede tecniche specifiche. Vediamo l’esempio, ancora dalla Chute Boxe:

se l’impegno fisico è estremo, nell’allenamento, i briefing di fine dei corsi si fanno in totale rilassamento, e sembrano ugualmente importanti nella preparazione. Seduti in cerchio, per terra sul tatami, i professori parlano agli allievi, discutono, scaricano la tensione… Una tecnica propria della Chute Boxe usata per canalizzare l’estrema aggressività e rinforzare l’unità del gruppo. L’accademia sembra avere un modo tutto suo per fare di uno sport individuale uno sport d’équipe. Ciò comporta una bella disciplina e necessariamente una solida leadership per fare applicare tutto ciò alla lettera[1].

[1] AA.VV. (2004), La Chute Boxe sarà più dura, reportage da “Fight Sport”, n. 2, ottobre.

Le tecniche esposte permettono di fare di uno sport individuale uno sport di equìpe. Questo significa poter attingere a due piani diversi, l’energia del singolo, e l’energia del gruppo, come se due motori, anziché uno solo, fossero attivi nel dare forza ed impulso.

Ciò che viene esposto nell’esempio della Chute Boxe è anche il come: tra gli strumenti, si nota l’utilizzo di una tecnica di debriefing, la discussione in cerchio a termine allenamento. Una modalità per sistematizzare l’esperienza, per elaborarla, filtrarne le parti migliori, farla sedimentare, e creare senso di unione. Il debriefing permette inoltre di localizzare errori ed espellerli dalle proprie tecniche e dal gruppo.

Al contrario, nella realtà dell’agonista abbandonato a se stesso, o del manager che abita in un clima relazionale misero, questo stato di condivisione non accade mai. Spesso l’agonista si allena da solo, o con un personal trainer, e finito il suo allenamento (o quando in sostanza la persona non ha più voglia di continuare) va a fare la doccia, esce, e va a casa, senza condividere niente con nessuno. Anche il manager che vive una vendita andata male o una trattativa difficile all’esterno, senza condivisione, senza rielaborazione costruttiva, è solo.

L’uomo nei team spenti (o in assenza di team o gruppi di supporto) è fondamentalmente solo. Niente debriefing. Nessun gruppo. Nessuna condivisione esperienziale, nessun messaggio di rinforzo motivazionale, niente di niente.

Nessuna meraviglia se molti atleti o manager non sentono il supporto del gruppo, un supporto che viene anche da una fase di briefing, debriefing e condivisione delle esperienze di allenamento o di lavoro.

In sintesi, un E-Group è un insieme di persone che si sforzano attivamente di selezionare i membri del team secondo criteri di merito, di competenza, di comunalità di visione e valori, e non temono di riprendere chi non lotta per la stessa causa, o “stanare” chi nel team non crede. È un team in cui la persona si apre, comunica, vive, elabora e rielabora quanto accade.

Un E-Group si adopera costantemente per “pompare fuori il disordine” dal team, cercando di mantenere una pulizia mentale e facendo pulizia in se stesso, con il riconoscimento e rimozione di atteggiamenti negativi dal gruppo. Da questi gruppi si esce sempre migliorati.

Un gruppo vincente si impegna inoltre nell’assimilazione di buone pratiche, atteggiamenti e comportamenti positivi, e di persone che possano entrare e portare avanti la causa.

In termini di leadership, e di Team ad Alte Prestazioni (TAP), costruire E-Groups richiede attenzione e energie su più livelli, in particolare:

  • il leader del team: le sue energie personali, fisiche e biologiche, le sue competenze, la sua visione delle cose, i progetti che vuole conseguire, il suo senso della missione e i suoi valori;
  • i membri del team, i loro livelli di energie, la compatibilità e adesione ai valori del team, la vicinanza valoriale e spirituale alla missione, opposta ad un sentire stanco e burocratico della missione e del team stesso;
  • il gruppo come sistema, gli scambi emotivi e conversazionali interni al gruppo, il clima del gruppo, i flussi di comunicazione interna tra pari, tra il leader e il team e viceversa, la qualità comunicazionale;
  • le osmosi in entrata: l’ingresso di nutrienti nel gruppo, intesi come nuove persone dotate di spirito adeguato, interessate alla missione, alla causa, ai valori, dotati di competenze o voglia di apprenderle, merito, energie e volontà di applicarsi; l’ingresso, inoltre, di Prototipi Mentali (credenze, stili cognitivi, stili di pensiero) positivi, concetti nuovi, apprendimenti, comportamenti e atteggiamenti da inserire e assimilare;
  • le osmosi in uscita: l’espulsione di disordine dal team, inteso come persone che non credono alla sua missione, o che la vivono burocraticamente e apaticamente, non credono alla causa, ai valori, non hanno le compe­tenze o la voglia di apprenderle, non hanno merito, energie e volontà di applicarsi; la pulizia, inoltre, sul piano dei Prototipi Mentali negativi (stili cognitivi, stili di pensiero, credenze sbagliate) che circolano nel team, concetti di cui ci si de­ve liberare, approcci mentali distruttivi per le performance, da localizzare ed espellere con grande attenzione e selettività.

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Agire nella pienezza e ricercare la potenza

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Sviluppare il potenziale per accrescere la linfa vitale

Potenziare se stessi e gli altri è una volontà non solo del coaching ma anche di ogni serio insegnante, terapeuta, formatore e leader.

Chi nella vita vuole produrre risultati e performance non può che lavorare sodo per essere il massimo di ciò che la genetica, la natura e la storia gli consentiranno entro la sua vita limitata, il suo soffio nell’universo.

Puntare al minimo, decidere di vivere soffrendo, sprecarla, autocastrarsi, o accettare i sistemi oppressivi, è un’offesa alla vita. Se una persona ha la possibilità di essere un atleta, lo deve essere, ci deve provare. Se può essere uno scienziato, lo deve essere, o ci deve provare. Se può essere uno che aiuta gli altri, li deve aiutare. Se ama insegnare, deve ambire ad insegnare.

Un buon coach saprà anche aiutare la persona a capire se il suo volere è veramente quello o non stia solo copiando qualche modello proposto dai media, o seguendo ciecamente le aspettative sociali, e questo è un lavoro delicato.

Come sostiene la riflessione di Williamson[1]:

La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati.

La nostra paura più profonda, è di essere potenti oltre ogni limite.

È la nostra luce, non la nostra ombra, a spaventarci di più.

Ci domandiamo: “Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso?”

 In realtà chi sei tu per NON esserlo?

Siamo figli di Dio.

Il nostro giocare in piccolo, non serve al mondo.

Non c’è nulla di illuminato nello sminuire se stessi

cosicché gli altri non si sentano insicuri intorno a noi.

Siamo tutti nati per risplendere, come fanno i bambini.

Siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio che è dentro di noi.

Non solo in alcuni di noi: è in ognuno di noi.

E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere,

inconsapevolmente diamo agli altri la possibilità di fare lo stesso.

E quando ci liberiamo dalle nostre paure,

la nostra presenza automaticamente libera gli altri.

[1] Brano tratto da Williamson, Marianne (1992) Return to Love, Harper Collins. Vedi http://en.wikiquote.org/wiki/Marianne_Williamson 

Molta parte dei sistemi educativi e delle religioni non aiutano le persone a sviluppare, ma piuttosto a soffocare, le aspirazioni più profonde di crescita personale, condannandole come egoismi.

Dobbiamo odiare con il più profondo del cuore i sistemi di pensiero che mettono le persone in condizioni di spegnere le loro aspirazioni e le loro energie. Aiutare le persone a risplendere, ed essere sinceri, richiede coraggio.

Molto più comodo sarebbe dire che tutto va bene, anche se non è vero.

L’essenziale è lanciarsi in un viaggio di scoperta di sé, nello sport, nella vita, nel lavoro, dovunque sia, non importa dove. È iniziare e poi cambiare strada facendo, se i risultati non arrivano, o se le strade sono chiuse, ma non bisogna stare fermi. I possibili campi di espressione sono enormi.

E dietro ogni fallimento si può nascondere una lezione, non un semaforo rosso a vita. Anche un incidente di percorso può insegnare qualcosa.

I fallimenti non sono sufficienti a bloccare un’ambi­zione, sono invece casi importanti da analizzare e da cui apprendere per sostenere future sfide con più preparazione. I fallimenti devono essere esaminati e diventare lezioni apprese (lessons learned).

Il senso delle performance è agire nella luce, il senso del potenziale umano è squarciare il buio delle paure immotivate e dell’auto-riduzionismo letargico. Questo sia nell’individuo, in noi stessi, che nelle imprese, e persino nei sistemi estesi come le nazioni, o per l’intera razza umana.

Il senso profondo del coaching e dei progetti di sviluppo è di permettere alla luce altrui di risplendere, aiutare le persone a produrre squarci di luce nei propri orizzonti, liberare il potenziale. Questi sono i tratti di una psicologia positiva delle performance.

La ricerca della potenza da obbligo di elevazione del “guerriero” è diventata – in tempi di buonismo – cosa cattiva. Un errore madornale.

I performer e i cercatori del potenziale umano vanno in cerca di potenza, e non si devono vergognare di questo.

Dalle sue energie l’uomo trae linfa, e una società di persone spente non fa comodo a nessuno, se non a chi vuole governare persone spente, impaurite.

A seconda del suo stato vitale, l’uomo, questo strano essere, si impegna per compiere imprese incredibili così come per trascinarsi giorno dopo giorno nell’esistenza. Una psicologia negativa, che coltiva soprattutto la disistima in sè, il depotenziamento, ha paura di ciò che una persona emancipata può fare, genera il collettivismo forzato, soffoca l’individuo.

Il bisogno di silenziare la pulsione a crescere, mettere i paraocchi rispetto a ciò che sono le vere opzioni della vita, oscurare orizzonti, è malvagità. Impedire, silenziare e depotenziare, anziché stimolare la forza e creatività individuale, può solo uccidere le persone e le loro performance nel loro senso più profondo e umano, quello di atti di liberazione.

Coaching, training e formazione, nella nostra visione, sono attività che devono portare l’essere umano (da solo o in gruppo) ad aumentare la sua potenza, a compiere nuove imprese, dare strumenti per realizzare ciò che può diventare, per se stessi, per l’organizzazione per cui si lavora, per le squadre in cui si agisce, ma soprattutto e prima di tutto per rispettare un impegno sacro: rendere onore al fatto di essere pienamente vivi, e non vivi a metà.

Per farlo, il lavoro sul potenziale e sulle performance deve, in linea di massima, lavorare su due piani: (1) riconoscere e liberare le incrostazioni e “sassi nello zaino”, stili di pensiero negativi, errori comportamentali e mentali, e (2) far entrare il nuovo, imparare concetti e atteggiamenti, abilità, formarsi, prepararsi, abituarsi anche a pensare con abiti mentali mai indossati prima. Il ruolo di un coach serio, di un formatore impegnato, di un consulente, o di un insegnante, dovrebbero essere impregnati di questo spirito vitale.

Va da se che una persona che sia stata in grado di accedere a tutto il suo potenziale, potrà dare a sé e agli altri contributi eccezionali. La potenza è energia pura, va solo direzionata per fini positivi.

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Mettere in moto le energie

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Aumentare le energie positive per lo sviluppo del potenziale

Il bisogno forte verso il quale muoviamo è mettere in moto le energie delle persone verso fini importanti.

Rantolare nel dolore non è bene. Adagiarsi su quanto ricevuto da altri non è bene. Il bene è cercare un progresso, sia esso un progresso interiore (ricerca spirituale) o tecnico (innovazione) o una performance.

Questo lavoro non tocca solo gli “altri”, ma chiunque, anche noi direttamente. Come sostiene Sant’Agostino, ci stupiamo spesso per i fenomeni naturali e la loro bellezza, viaggiamo per cercarli, ma a volte non consideriamo noi stessi mete degne di altrettanta attenzione ed esplorazione.

Quando una persona si limita a fare su se stessa poco più dell’ordinaria manutenzione, vive senza passioni, con energie ridotte rispetto a ciò che potrebbe essere. Probabilmente in cielo qualcuno soffre per questo.

Dare fuoco alle passioni è invece importante, credere in una causa, trovarla, volere un progetto, desiderare di dare un contributo, evolvere, progredire, migliorarsi.

Non è banale pensare che chi agisce per aiutare le persone a produrre risultati e crescere – come un coach, un formatore, un insegnante, un terapeuta, un consulente, un manager, ma anche un padre, una madre, un fratello – sia eroico, sia guerriero di una causa giusta.

Serve uno sforzo per fare sinergia tra i messaggi ispirativi, evocativi, le esperienze dirette, i dati delle ricerche e quelli che derivano dall’accademia.

Se siamo sufficientemente aperti, i messaggi portati da persone diverse non faranno paura ma aiuteranno solo a riflettere, sebbene possano provenire da religioni che non ci piacciono, da persone che non apprezziamo, da scuole accademiche o sistemi di pensiero a noi antitetici o lontani.

Impariamo ad osservarli comunque come stimoli su cui riflettere, tracce di pensiero di altre menti con cui abbiamo la fortuna di confrontarci liberamente, mantenendo la nostra autonomia di giudizio. Per questo, quanto più varie sono le fonti, tanto maggiore diventa la possibilità di un confronto ricco e produttivo.

Proponiamo questo messaggio che deve far riflettere sulla pienezza del potenziale umano e sul vero senso delle performance.

Vivi la vita

La vita è un’opportunità, coglila.

La vita è bellezza, ammirala.

La vita è beatitudine, assaporala.

La vita è un sogno, fanne una realtà.

La vita è una sfida, affrontala.

La vita è un dovere, compilo.

La vita è un gioco, giocalo.

La vita è preziosa, abbine cura.

La vita è ricchezza, conservala.

La vita è amore, godine.

La vita è un mistero, scoprilo.

La vita è promessa, adempila.

La vita è tristezza, superala.

La vita è un inno, cantalo.

La vita è una lotta, accettala.

La vita è un’avventura, rischiala.

La vita è felicità, meritala. La vita è la vita, difendila.

Inno alla vita
di Madre Teresa di Calcutta

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Concetti fondamentali: la visione della persona come sistema energetico

Il metodo HPM per il coaching

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, generare impulso, contributo e stimolo alla crescita della persona, dei team e delle organizzazioni.

Il metodo ha due distinte sfere di applicazione, tra di loro collegate:

  • crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling, e
  • sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

Il metodo contiene una concezione dell’uomo come articolazione di energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni.

Il metodo individua sei specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascuno di noi, indipendente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi, piccoli o grandi che siano. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuovi orizzonti che ci invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire, nel suo senso più profondo.

“Entrare” in queste sei celle ci permette di costruire progetti di crescita seri ed efficaci, siano essi la “liberazione” da ciò che ci frena, o l’aumento delle nostre risorse personali.

L’amplificazione delle energie e abilità di un individuo o di un intero gruppo o impresa, può proiettarci verso nuovi traguardi, e nuovi modi di essere. Prendere piena coscienza dei propri potenziali e lottare per raggiungerli è un’operazione che ha una propria sacralità, al di la del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Capire questo è essenziale oggi per fare del training aziendale serio, essere ricercatori o insegnanti degni di questo nome, ma anche nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo), nella consulenza, nei progetti di crescita personale, quando si esamina una persona o un’organizzazione, intesa come complesso di energie circolanti, il suo lato umano, il suo spirito vitale.

Il metodo HPM raggruppa tutti i fattori evidenziati in un modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) e li considera aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita.

Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna contributi, strumenti utili e operativi, è invece già possibile.

Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani esistenziali superiori, ricercare, crescere.

Possiamo soffocare questa pulsione umana naturale, ma è come cercare di non respirare, prima o poi il bisogno viene fuori, ed è bene ascoltarlo.

Il modello HPM analizza l’essere umano come sistema energetico, una sinergia di forze (fisiche e mentali), la cui amplificazione può aumentare il grado di felicità, successo e potenzialità realizzativa.

Questo sistema complesso è composto da sottosistemi, che possono disporre di uno stato di carica variabile, e funzionare bene o male, con gradazioni intermedie di efficienza ed efficacia.

Per analizzare il potenziale globale della persona, non solo sul piano fisico o intellettuale, ma come essere umano nel suo complesso, abbiamo bisogno di localizzare quali sono i micro e macro-distretti su cui si può agire e come questi interagiscono tra di loro.

Dobbiamo anche saper muovere lo zoom di analisi dal micro al macro, dal particolare al generale, e viceversa.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

  • il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria, amplificazione sensoriale, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel team, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;
  • il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organis­mico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;
  • le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie che fanno la differenza in una prestazione manageriale o sportiva, le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente,  le micro-abilità relazionali e comunicazionali da cui dipende un lavoro di qualità;
  • le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un ruolo; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne coscienti e in pieno controllo; la gamma delle abilità o portfolio di competenze di un individuo o di un team, e come questo deve essere rivisitato, riqualificato, formato, per essere all’altezza degli obiettivi che ognuno di noi si pone e delle sfide che vuole cogliere;
  • goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi e risultati attesi;
  • visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Al crescere della carica nei diversi sistemi aumenta l’energia complessiva della persona, dei team, e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e nutrirli.

La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi.

Le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio sulle sei aree.

Sul piano manageriale e sportivo, nei team e nelle aziende, le implicazioni sono altrettanto evidenti: lo stato di forma mentale e fisico delle persone, la loro carica motivazionale, le loro competenze, la loro progettualità, il loro spessore morale, fanno la differenza tra persone o team spenti, e persone, team o organizzazioni capaci, forti, motivate, piene di energia ed entusiasmo, desiderose di affrontare sfide e dare contributi veri.

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Quando una competizione è sana e gli avversari diventano utili. Intervista a Daniele Trevisani Corriere della Sera

Stralcio Intervista di Elvira Serra a Daniele Trevisani Corriere della Sera del 31–01-2017 p. 25, articolo “L’Importanza del rivale”, sul tema performance, competizione sana e avversari utili

stralcio-intervista-daniele-trevisani-corriere-della-sera-del-31-01-2017-p-25

Il tema dell’intervista e un approfondimento estratto dal volume Self Power

image027© Copyright Daniele Trevisani e Fanco Angeli editore

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Troppo spesso le performance sono confuse con atti puramente muscolari e con azioni di brevissima durata. Nella visione olistica (dal greco olos: il “tutto”), le performance devono essere viste come atti soprattutto mentali, e, per quanto riguarda la durata, comprendere (1) il lavoro sulla continuità, (2) lo scopo, la misura di quanto esso sia nobile.

La visione olistica delle performance non si limita a cronometrare risultati o misurare quanti soldi entrano nel breve termine. Si chiede se stiamo lavorando a costruire un mondo migliore, produrre le condizioni per ottenere risultati che durino, se stiamo lavorando sulle persone che li dovranno produrre, se ci stiamo preparando, se crediamo in quello che facciamo, e se quello che facciamo ha senso.

Ti parla della vita come di una serie di opportunità da cogliere e persino da costruire, con le tue mani, con  la tua volontà, da spirito libero.

Strade a volte non facili, diverse da quelle che propongono i mass media e la massificazione del pensiero. Sentieri nuovi, ma, prima o poi, dobbiamo farlo.

E tutto questo ha a che fare assolutamente con l’orgoglio che possiamo avere verso noi stessi nel momento in cui ci guarderemo indietro alla fine della vita.

« Sì come una giornata bene spesa dà lieto dormire,

così una vita bene usata dà lieto morire. »
Leonardo da Vinci

Quali sono alcuni indicatori materiali (fisici, tangibili), che possono indicare un senso di miglioramento o progresso, una direzione di crescita nel tuo lavoro o nella tua vita?

Quali sono alcuni indicatori immateriali (spirituali, emotivi, intangibili), che possono indicare un senso di miglioramento o progresso nel tuo lavoro o nella tua vita?

Occorre fare una sana e costante manutenzione a questi aspetti esistenziali anche quando tutto sembra andare bene. Anzi, è proprio quando le cose vanno bene che i processi di potenziamento delle energie possono avere meno freni e costituire le basi per un futuro di progressi.

Principio 7 – Immagine di sé ed energie mentali

Le energie mentali aumentano quando:

  • si accresce il grado di auto-accettazione sia attuale che nella storia personale, e questa viene utilizzata come punto di partenza per una crescita successiva;
  • viene ricercata e raggiunta una identità ed un ruolo positivo per la propria possibilità di espressione, per i valori e ideali personali, si mettono in moto tentativi di cambiare in meglio e si supera la fase di stallo. Il solo fatto di avere iniziato un percorso e non essere più “fermi” è generatore di energie.
  • aumenta la chiarezza sui ruoli multipli compresenti, e diventa possibile imparare ad integrarli senza dissonanze irrisolte; riusciamo a capire e assimilare un nostro “sé superiore” che fa da guida e integra i nostri vari modi di essere.
  • l’individuo sa distinguere i confini dei ruoli e sa gestire le energie e tempi da dedicare ai diversi ruoli; non vive più in multitasking ma gioisce di ogni esperienza vivendola nel momento, desiderando di essere li e non altrove, senza sensi di colpa per quanto di altro non si sta facendo in quel momento.
  • le immagini del Sé ideale o Sé aspirazionale sono maggiormente frutto di autodeterminazione e libero arbitrio, con minore dipendenza da schemi esterni; vogliamo diventare qualcuno o qualcosa che sia frutto di una nostra elaborazione libera e autonoma e non copiata da modelli esterni di plastica o di massa;
  • l’individuo sa trovare aree per la propria espressione. Abbiamo chiaro cosa significa per noi esprimerci e non ci vergogniamo di pensare e di fare ciò che per noi è esprimerci veramente.
  • aumentano le capacità assertive per costruire e negoziare i tratti del ruolo con le controparti, per interagire senza subire, impariamo a non vivere come permanente situazioni che non sentiamo nostre e ci adoperiamo per cambiarle, diventiamo più capaci nel dire no a stati che siano per noi “tossici” e a creare condizioni in cui ci sentiamo vivi e liberi;
  • l’individuo affronta il problema della chiarificazione del proprio ruolo, e ricorre a supporti adeguati (condivisione, coaching, counseling, consulenza, terapia, dialogo profondo). Nel momento stesso in cui hai qualcuno con cui confrontarti non sei più da solo, hai smesso di stagnare nella ruminazione mentale e nella stasi quando si possono cercare soluzioni. E i momenti e situazioni di apertura e confronto possono essere multipli con effetti moltiplicatori. Seminari, corsi, coaching, terapia, ed ogni via di accrescimento interiore vanno provate e percorse. Non rinunciare mai alla tua capacità di giudizio, cerca alternative se i momenti di confronto o le persone con cui ti consulti non ti stanno dando quanto cerchi, cambiali.

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • l’individuo non accetta l’immagine di uno o più dei suoi Sé passati, non riesce ad accettarsi ed integrare eventi del passato nella sua identità attuale;
  • l’individuo non accetta la sua identità e ruolo attuale, e non fa niente per cambiare;
  • l’individuo non ha chiarito a se stesso le sue diverse identità e ruoli coesistenti (pluralità dei sistemi di appartenenza dell’attore sociale, ruoli multipli), e manca un “sé superiore[1]” in grado di unificare la nostra identità;
  • l’individuo possiede immagini di sè stesso multiple e tra di loro incompatibili, dissonanti, alimentando una lotta interiore tra le nostre diverse anime, che non riescono ad integrarsi (fratture della personalità);
  • manca la capacità di fissare confini chiari nella gestione delle energie e tempi da dedicare ai diversi ruoli, vorremmo essere sempre li ma anche altrove, fare una cosa ma anche l’altra;
  • le immagini del Sé ideale sono stereotipate e mal ancorate alla realtà;
  • l’individuo non cerca o non sa dove trovare aree per la propria espressione personale, non abbiamo chiaro cosa significa per noi esprimerci veramente;
  • mancano capacità assertive per costruire e negoziare con le controparti, si subiscono ripetutamente aspetti di ruolo che non si sentono propri senza riuscire a negoziarli, non riusciamo ad vivere secondo il nostro modo di essere;
  • la chiarificazione del proprio ruolo è posticipata troppo a lungo, o mancano supporti adeguati (mancanza di condivisione, di coaching, counseling, consulenza, dialogo profondo).

Quali sono alcuni cose di te e della tua vita che vorresti affrontare o migliorare? Cosa succede se non vengono affrontate?

[1] Per approfondire il concetto di “Sè superiore” si rimanda agli studi del precursore del concetto, di Roberto Assagioli, psicoterapeuta italiano che ha operato prevalentemente negli USA, autore della metodologia denominata “Psicosintesi”. In particolare in italiano i testi di riferimento sono: R. Assagioli, Psicosintesi: per l’armonia della vita, Roma 1999 (Ed. Astrolabio), R. Assagioli, Principi e metodi della Psicosintesi terapeutica, Roma 1973 (Ed. Astrolabio), R. Assagioli, L’atto di volontà, Roma 1977 (Ed. Astrolabio).

© Copyright Daniele Trevisani e Fanco Angeli editore

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Psicologia della motivazione

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.4. Ricerca dei drivers motivazionali

Come si può notare, il tema esistenziale (meaninglessness vs. ricerca dei significati) è centrale non solo per il fronte psicoenergetico, ma anche per la costruzione di una Vision e di una progettualità.

Perché questo? Perché la mancanza di un senso può produrre effetti devastanti, dalla carenza di scopi personali al senso di inutilità dell’agire, sino a bloccare la ricerca di nuovi orizzonti esterni (ricerca esteriore) o interni (ricerca interiore). La mancanza di senso produce il limitarsi delle energie mentali alla pura sopravvivenza, e spesso nemmeno a quella.

Kinnier e altri autori individuano dieci credenze dominanti che fungono da ancoraggi o interpretazioni della vita[1]:

1. La vita è gioire della vita e vivere l’esperienza della vita

2. la vita è amare, aiutare, servire gli altri

3. La vita è un mistero

4. La vita è senza significato                      

5. La vita è servire Dio e prepararsi all’aldilà

6. La vita è fatica

7. La vita è contribuire a qualcosa più grande di noi stessi

8. La vita è auto-realizzarsi

9. Ognuno deve creare da solo un senso personale della vita

10. La vita è assurda o è uno scherzo.

Ciascuno di questi driver (motori profondi) interagisce con la cultura individuale e con la propria personalità.

In un soggetto possono scatenare una forte produzione psicoenergetica alcuni di questi (es.: 1, 2, 7, 8) mentre altri sono in grado di distruggere o minare la sua voglia di vivere (10, 6, 4), e per ciascuno esistono sfumature diverse. Naturalmente, ogni analisi vale nel tempo in cui è svolta, e il quadro può cambiare, anzi, deve cambiare in seguito ad un buon coaching o ad una formazione di qualità, in cui la revisione di priorità è risultato positivo e ricercato. Purtroppo, sul piano della relazione con se stessi, non conoscere quali sono i driver che ci attivano, è una lacuna gigantesca.

Ogni coach professionale deve localizzare quali sono i driver del cliente o del team in grado di accrescerne le energie mentali, e riuscire inoltre nell’operazione difficoltosa di inserire nuovi driver all’interno dei costrutti mentali già esistenti.

Questa operazione di arricchimento delle fonti di energia psicologica e motivazionale è di straordinario interesse e notevole complessità tecnica.

Operazioni di arricchimento sono possibili su più piani.

Es.: Per un atleta… tu non gareggi più solo per i soldi che guadagni ma anche per… un contributo ad una causa, per scoprire i tuoi limiti, per dimostrare chi sei, per riscattarti da quello che eri…

Per un praticante di fitness… tu non ti alleni più per dimagrire, il grasso e la pancia sono i falsi nemici, il tuo nemico vero è la noia, l’apatia, la tristezza, la vita dimezzata di uno che vive in catalessi nella pigrizia…

Per un operatore sociale… tu non stai accudendo un anziano, stai dando un senso alla tua esistenza…

Per un agonista…voglio che quando esci dal campo tu sia orgoglioso di come hai giocato, non dei punti che hai fatto…

Per un manager… voglio che, quando qualcuno ti chiede cosa hai fatto quest’anno nella tua zona, tu possa dire “ho costruito una buona squadra, ne sono orgoglioso”…

Per un ricercatore… tu scrivi, ma ricordati… non stai facendo una pubblicazione, a nessuno frega niente della tua pubblicazione, se non stai facendo qualcosa che serve veramente agli altri più che a te, stai sprecando tempo… se non è qualcosa di cui essere orgoglioso fai a meno… allora, cosa vuoi fare…?


[1] Kinnier, Richard T., Kernes, Jerry L., Tribbensee, N., Van Puymbroeck, Ch. M. (2003), What Eminent People Have Said About The Meaning Of Life, Journal of Humanistic Psychology, Vol. 43, No. 1, Winter.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

La relazione tra energie personali e aspirazioni personali

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.2. Gli effetti positivi delle immissioni di energie sui livelli di performance e di aspirazione

In termini di psicologia positiva notiamo che l’immissione di energia in una qualsiasi cella può apportare maggiori energie al sistema, e quindi riflettiamo sul fatto che esistono molteplici modi e strade, enormi opportunità, per poter accrescere le energie personali e fare coaching e formazione di qualità.

La liberazione da una catena, o “togliere un sasso dal proprio zaino”, può aprire le strade della volontà per una scalata ulteriore. In generale, le immissioni di energie in un certo stadio aumentano il livello di fiducia in se stessi, autostima e percezione di autoefficacia. Aumenta il senso di libertà.

Le osmosi energetiche portano ad una maggiore propensione dell’indi­viduo verso l’assunzione di rischio positivo, di accettazione di sfide che prima il soggetto riteneva impensabili o troppo pericolose. Per rischio positivo intendiamo azioni che non siano minate da un livello di aspirazione malato, superumano e maniacale, condotte col cuore ma anche con la ragione.

I livelli di aspirazione sono decisamente correlati alle energie circolanti.

Gli studi scientifici di Bresson individuano il livello di aspirazione come “il risultato che un soggetto si dà per un fine da raggiungere, in un compito che ammette diversi gradi di realizzazione”[1].

A bassi livelli di energie personali corrispondono bassi livelli di aspirazione. Le energie si abbassano drasticamente, e i compiti o goal che l’individuo sente di poter gestire si richiudono sempre più entro una nicchia, sino ad implodere, se la tendenza non viene invertita.

Quando mancano le energie, ogni rischio assume sembianze mostruose, persino lo scendere in strada, o l’incontrare altre persone. Al contrario, forti osmosi energetiche positive (contaminazioni positive tra energie fisiche, mentali, competenze, volontà) conducono alla voglia e consapevolezza di poter accettare sfide e rischi superiori, persino lanciarsi con un paracadute, o condurre una operazione chirurgia al cervello (per un medico), o accettare la sfida di avere figli in un mondo difficile (per ogni genitore), o iniziare a pensare di potersi laureare, per qualcuno che aveva rinunciato a questa idea non sentendosi all’altezza, e tante altre occasioni di crescita.

Per questo motivo, nel metodo HPM, quando i canali per introdurre energie sono bloccati da un certo lato (poniamo i valori, o le competenze), è possibile sia teoricamente che concretamente aggirare questo ostacolo. Potremo partire dalla base delle energie fisiche, o da altri canali aperti o apribili, per incrementare le energie totali del sistema. È un lavoro sperimentato e funzionante nella pratica, di cui troviamo crescente supporto teorico.

Avviare il lavoro, e sbloccare i meccanismi, è più importante che fare un lavoro ingegneristicamente perfetto ma – nei fatti – solo teorico, vuoto.

L’effetto di trascinamento e di osmosi positiva avrà riverberi anche sugli altri stati altrimenti inaccessibili per via diretta.


[1] Bresson, F. (1965), Rischio e personalità. Il livello di aspirazione, in Trattato di Psicologia Sperimentale, a cura di Paul Fraisse e Jean Piaget (1978), Einaudi, Torino, p. 458. Edizione originale: Traité de Psychologie Expérimentale. VIII. Langage, communication et décision, 1965, Presses Universitaires de France, Paris.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.