Vivere Il Brand – Alcuni concetti fondamentali

Vivere il brand: proposte e idee per una cultura amplificata di marketing e vendita

Articolo di Daniele Trevisani, anticipazione editoriale dalla rivista Communication Research n. 2/2010, Copyright.

Ogni azienda ha un marchio, persino un soprannome di persona, diventa un marchio.

Come ogni marchio ha un proprio vissuto, propri alti e bassi, e un proprio valore, un “potere evocativo”, o “potenza semantica”, la potenza dei significati che riesce ad avere per una persona, per come egli la vive. Immaginiamo un centro fitness che riesca a diventare così potente, dal punto di vista semantico, da diventare il luogo davanti al quale si parte la sera per andare in discoteca. Il luogo nel quale dare appuntamento ad un cliente importante. Il luogo nel quale ti liberi dallo stress, il luogo nel quale cerchi la tua micro-vacanza quotidiana,  il luogo nel quale sai che potrai permetterti di allentare le barricate che devi porre ogni giorno verso lo stress.

Un problema che osservo da una angolazione privilegiata, quella di consumatore ordinario che fa la spesa e acquisti, che vive lo sport e la famiglia, che vive gli acquisti come ogni persona, e contemporaneamente consulente/formatore che fa ricerca sui processi di acquisto, è quello della dissonanza opposta ad una ricerca di consonanza tra marchio e comportamenti osservabili in alcuni ambiti aziendali.

Ho sempre trovato di estremo interesse la psicologia del marketing quando questa aiuta ad andare incontro ai bisogni delle persone, odiandola altrettanto per la sua capacità, se usata male, di creare bisogni stupidi o dirottare le priorità vere delle persone su valori subdoli e pericolosi. Verso alcuni temi di marketing e la parole connesse a questa sfera aziendale, dobbiamo riconoscere la presenza di una sindrome pericolosa, che in psicologia viene chiamata “intolleranza alle emozioni”. L’intolleranza alle emozioni è il momento nel quale facciamo fatica a prendere atto della comparsa di una certa emozione in noi, e come meccanismo di difesa possiamo diventare aggressivi o evitativi, o negare l’esistenza stessa del fattore che genera questa emozione. Alcune culture d’impresa si illuminano al solo sentire o leggere la parola “marketing”, altre ne rimangono indifferenti, altre la vivono in modo marginale, altre ancora fanno ruotare tutta la strategia attorno a questo tema.  Prendiamo ad esempio due mondi: il mondo del fitness, nel quale si ragiona con il sistema “se qualcuno vuole fare sport la palestra è aperta”, e il mondo cooperativo,  che non è certo immune a questa tendenza oscillatoria che permea ogni vissuto aziendale, per motivi che spiegherò tra poco. Il problema dell’impresa nasce quando il marketing diventa esigenza dovuta ma non un territorio di espressione naturale. In molte aziende, questo deriva da una storia nella quale era il cliente a cercare il fornitore. Oggi è il fornitore a cercare il cliente, e questo genera un disorientamento storico. Lo notiamo anche nel passaggio generazionale nelle PMI, dove i figli spesso trovano come maggiore ostacolo la cultura dei padri. Questo stato può toccare anche il movimento cooperativo.

Siamo lontani dai tempi nei quali un allievo di Karate doveva dormire all’addiaccio davanti alla casa del maestro, nella speranza di essere accettato come suo allievo. Oggi sono più i corsi degli allievi (metaforicamente), così come sono più i centri commerciali e distributivi rispetto ai quartieri di una città.

Questo genera disorientamento. La ragione di questo probabilmente va ricercata nella storia stessa del movimento cooperativo, che parte come aggregazione di acquirenti e non certo come aggregazione di venditori. La ragione di questo, nel mondo sportivo, viene dal fatto che chi nutre tanta passione per lo sport da averlo fatto per una vita, e poi apre una palestra, non riesca a capire come non sia possibile che esistano persone che vanno incentivate a farlo.

Senza negare la storia, dobbiamo chiederci quali erano i valori che hanno dato luogo a questa storia, e trasportarli oggi in un futuro che è già presente. I valori della difesa dei diritti, delle uguaglianze, di un consumo intelligente, della salute, della socialità, i valori sociali, possono e devono essere parte del marketing di ogni azienda. Se il prodotto/servizio è utile, il marketing ne fa da amplificatore.

Il mondo cooperativo ha poi la possibilità di attingere ad un modo diverso di fare marketing che usa gli stessi strumenti, con fini simili, per una causa completamente diversa: non il profitto di un singolo padrone, ma l’accrescimento positivo di una organizzazione che risponde a bisogni sociali. Se confondiamo l’arma (il marketing) con il fine, entriamo nella sindrome di intolleranza alle emozioni e inizieremo a non amare lo strumento e nemmeno il fine che invece esiste e si tocca con mano nelle persone.  Ma qui entriamo nel pianeta variegato delle problematiche connesse al mondo delle vendite e ad una cultura di vendita.  Dobbiamo porci questi problemi ora, subito, prima che sia troppo tardi:

  • Qualità relazionale verso il cliente e socio: che rapporto offre un’impresa ai propri clienti, come vogliamo definire la qualità relazionale, come la definiamo oggi, come dovremmo probabilmente ridefinirla in prospettiva diversa? Bastano le indagini di Customer o dovremmo guardare ad aspettative latenti del socio, che ancora non sono nemmeno emerse?
  • Brand Extension: i confini di estensibilità del marchio: fino a che punto, quali sono i confini sostenibili, quali quelli sperimentati sinora, con che risultati, quali possibili sviluppi futuri
  • Vendita: stato dell’arte e possibili sviluppi. Che opportunità potremmo cogliere? Dove sono le possibilità di sviluppo? In quali direzioni tecnologiche? In quali sul piano relazionale?
  • Microsegmentazione: impostare il lavoro sul mercato uscendo da concezioni generaliste e localizzando micro-segmenti e bisogni molto specifici (che vanno oltre la categoria in se, ed entrano nella sfera della psicologia del bisogno). Quali variabili possiamo usare per la micro-segmentazione? La micro-segmentazione può dinamicizzare il nostro rapporto con il mercato?

Il punto di interesse tecnico focale della vendita è la micro-segmentazione, partendo dal principio che ogni segmento (es: giovani mamme, adulti single, giovani coppie, anziani etc) ha propri set di aspettative e valuta la qualità relazionale e il lavoro svolto dalle imprese offerenti con criteri diversi. La sfida è come essere “bravi” a rispondere ad esigenze variegate anche in un contesto di grande distribuzione, e come farlo soprattutto con una distintività percepibile veramente.

Ad esempio, un gruppo di lavoro nel quale facciamo formazione, esamina ricerche attuali di marketing per ricercare ponti con il mondo delle imprese aderenti, uno dei tanti temi che tratteremo presto è come stiamo rispondendo al segmento che chiede uno “Healthy Lifestyle?” (spunto che nasce da un articolo del Journal of Consumer Research, in un articolo specifico – How Does Drug and Supplement Marketing Affect a Healthy Lifestyle?).

La sensazione che si ha in molti rapporti con le imprese, come clienti e consumatori  di beni e servizi, è quella di un ottimo luogo per acquisti generici ma che i bisogni personali diventino involontariamente marginali, aree, possiamo chiamarle “residuali” nella “sensazione sentita” di sentirisi visitatore, in cui non si percepisce un “trionfo” di attenzione, zone in cui l’illuminazione o I display sembrano dotati di minor potere attrattivo, o le musiche non adeguate o l’assortimento e informazioni appaiono come spente o dotate di poca carica di energia, o le persone arrancano per arrivare a sera.

Dobbiamo quindi chiederci se la cultura del marketing, un marketing percettivo “sano”, “corretto”, che consiste nel far percepire bene al cliente il valore che abbiamo, sia entrata davvero o siamo ancora sulla strada e sul cammino, e quando vorremmo arrivare ad un punto che consideriamo un punto d’arrivo.

In una indagine qualitativa, emerge il caso di un cliente (chiamiamolo Mario), un cliente alla ricerca di un pc portatile, di fascia medio-alta, per cambiare il suo pc portatile principale. Si rivolge ad uno store specializzato, dove desidera poter ricevere un servizio di info-on-demand sulla sua email. Desidera in altre parole davvero ricevere, via mail, un bollettino informative sulle offerte in corso, magari selezionando una fascia di prezzo e di qualità che interessa, ed essere piacevolmente sorpreso nel farsi carico del suo problema di acquisto senza dover periodicamente visitare il punto vendita. Entriamo qui quindi in una richiesta di ribaltamento completo, da cultura di vendita push, a cultura di supporto ad acquisti che esprimono membri di micro-segmenti.

Il micro-segmento degli appassionati di Informatica esiste. Il micro-segmento di neo-mamme in cerca di (non solo) prodotti ma orientamento nel nuovo ruolo esiste. Il micro-segmento degli “energy savers”  coloro i quali cercano soluzioni per il risparmio di energia, esiste. Il micro segmento degli appassionati di nutraceuticals e di integratori sportivi esiste. Il micro-segmento degli intellettuali appassionati di bio esiste. Trovano risposta in noi? Questi ed altri micro-segmenti sono il vero mercato.

Dovremmo quindi forse sfruttare meglio le opportunità tecnologiche, avviare campagne di informazione on demand, coltivare maggiormente I tantissimi micro-segmenti di cui si compongono milioni di soci, evitando di pensarli (non di vederli, ma persino di pensarli) come un aggregato indistinto, e osservandoli come piccolo tribù, spesso nomadi, nelle quali si entra e si esce in certi moment della vita e persino della giornata, clan cui ci si aggrega per qualche ora, mese o anno, con la libertà di uscirne.

Un ulteriore caso specifico spiega altri dettagli della problematica di potenziare la cultura di vendita: parte da una telefonata reale al numero di centralino di una impresa della Grande Distribuzione Organizzata, uno store specialistico. Motivo: ricerca di un cellulare con fotocamera da 8 megapixel (fascia alta, circa 400 euro). La centralinista o addetta telefonica (ruolo non ben percepito dall’intervistato) dice che gli addetti del reparto sono tutti impegnati, e bisogna passare di persona. Il cliente afferma che desiderava solo sapere se quel modello era presente o meno, e che abitava a 40 km dal punto vendita, quindi per fare il viaggio desiderava almeno sapere se il modello che cercava esiste. Dal telefono giunge la risposta che “se anche ci fosse adesso non è detto che poi ci sia quando arriva”, e che “non possiamo tenere fermo un pezzo, se arriva qualcuno viene venduto e quindi se anche ci fosse non è detto che ci sia dopo”. Emerge chiaramente che la mancanza di una cultura di vendita.

Parlo di una cultura di vendita e di marketing sana e rispondente al bisogno, non di una cultura di vendita insana o malsana. Parlo di far risparmiare quei 40 km a qualcuno e ascoltarlo con interesse. Ancora prima che di una competenza di vendita, dobbiamo potenziare la cultura della vendita. La competenza arriva solo dopo che una cultura si è insediata, solo dopo che qualcosa è stato ritenuto importante e meritevole. Il problema non è tanto quello di instaurare una vendita aggressiva (che non è il nostro stile), ma di dare risposta a dei bisogni veri, che si localizzano in micro-segmenti di bisogno specifici. In questo territorio (i bisogni localizzati, i bisogni sottostanti cui dare risposta anche in modo non convenzionale) si situa una delle maggiori sfide dei tempi attuali. Quando troviamo una persona che si interessa a noi il rapporto vive. Vivere il Brand significa per il cliente pensare alla tua azienda, prima di qualsiasi altra alternativa, sentirla come il depositario di un “filo rosso di fiducia” che lega il mio bisogno a qualcuno di cui mi fido, per una ampia categoria di bisogni, e considerare ogni altro concorrente come alternativa di serie B. Dove questo è possibile? Dove meno? Dove lo sarebbe se trovassimo nuove strategie commerciali? A noi la prossima mossa…

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Articolo di Daniele Trevisani, anticipazione editoriale dalla rivista Communication Research n. 2/2010, Copyright.

Stimoli e acquisto – Verso un Marketing Umanistico e Psico-Sensoriale

di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it, copyright

Temi fondamentali:

  • Stimoli nei punti di acquisto
  • Ritmo di Presentazione degli Stimoli (RPS)
  • Attenzione sostenuta: capacità di mantenere l’attenzione su per un considerevole periodo, tenere alta la capacità di selezione, monitoraggio e controllo.
  • Vigilanza:  la capacità di monitorare nel tempo eventi con bassa frequenza d’accadimento.
  • Ergonomia del cliente: tenere in considerazione il funzionamento biologico del cliente durante le fasi di acquisto e il suo affaticamento
  • Marketing Umanistico: attività aziendali che mettono il cliente e i suoi bisogni al centro della progettazione, con forte attenzione alla componente etica, valoriale, esperienziale ed emozionale del cliente stesso

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Se c’è qualcosa che non manca negli spazi di acquisto sono gli stimoli: colori, prezzi, centinaia di articoli e referenze, fotografie, packaging, promoter, pubblicità in-store, visual merchandisng, messaggi acustici, odori, assaggi, suggerimenti altrui, promozioni, e via così… sino a giungere ad un vero e proprio bombardamento di informazioni, di richieste, una condizione di iperstimolazione del cliente. Questo paga sempre? La ricerca dice: non sempre. Ma nemmeno paga una sensazione di vuoto e desolazione, un deserto, un senso di povertà o carenza di stimoli.

Cosa fare quindi? Le strade esistono, vediamo di capire meglio quali poter percorrere… senza pretesa di esaurire l’argomento, ma anzi di aprirne la discussione e avviare un ragionamento per fini positivi e con forti implicazioni pratiche.

Possiamo subito anticipare che si profila un nuovo ruolo per chi gestisce gli spazi di vendita (o meglio, gli spazi di acquisto, vista la centralità del cliente in questo processo): la gestione della psicologia dell’attenzione e le varianze di stimolazione (sia per densità che intensità e varietà), che offrono gli ambienti, le persone, i prodotti, gli spazi e l’insieme di esperienze d’acquisto. Questo mix di attenzioni dà luogo al Marketing Umanistico e al Marketing Percettivo.

Il concetto di base su cui si basa la psicologia dell’attenzione nei punti vendita è semplice: A fare acquisti è un essere umano. Un essere biologico, con tutte le sue esigenze fisiche, e non solo culturali. Un essere fatto di carne, pelle, muscoli, nervi. Un essere che si può affaticare, stancare, persino demotivare verso il fatto stesso di fare la spesa, realizzare acquisti, sino a viverlo come una necessità dolorosa anzichè come un momento piacevole. Nessuna famiglia può esimersi dall’acquistare. Chi è sensibile al tema dell’acquisto non può esserlo solo per il numero finale che appare nei bilanci. Bisogna entrare nel Come avviene l’acquisto, e non basta nemmeno concentrarsi sul Cosa Quanto viene aquistato. Per gli scettici, è sufficiente dire che il Come influenza sia il Cosa che il Quanto (in termini di numeri). Ma non solo: qualifica la distintività, il posizionamento nella mente del consumatore, il Brand stesso.

La mia ricerca in questo campo sta mettendo al centro dell’analisi il tema delle varianze spaziali: alternanze di zone ad alta richiesta attentiva accanto a “zone di recupero”, dove il cliente possa ricaricare i meccanismi attentivi ed avere nel complesso una esperienza di acquisto più utile, produttiva per sè, meno ansiogena, più cosciente, più umana e in ultimo più positiva anche per chi la vive. I metri quadri non cambiano, cambia la loro disposizione. Aumenta la consapevolezza, aumenta la possibilità di vivere l’aquisto con senzazioni piacevoli di benessere e non come fonte di stress. La Consumer Anxiety, del resto, è uno dei temi più forti e recenti della Consumer Research in generale, e dimostra che i clienti che vivono l’acquisto come uno stress lo rifuggono o compiono atti d’acquisto irrazionali persino a loro danno.

Al centro di questo modo di vedere, vi è la concezione etica del cliente come essere umano e non solo come macchina d’acquisto, di cui spingere il “Buy Button” L’ergonomia,  l’attenzione per la persona e i valori, pagano chi riesce a far proprio questo valore, nei fatti, non solo sulla carta.

Per chi gestisce spazi di acquisto, si tratta del prendere coscienza del ruolo giocato dalla Psicologia dell’attenzione e come questo impatta il cliente o fruitore dello spazio, quando l’eccesso di densità informativa e l’eccesso di richieste di attenzione (densità attentiva) saturano l’information space, distruggono anzichè costruire,.

Come creare spazi che rispettino maggiormente la persona e diano esperienze più positive? Esiste un beneficio aziendale evidente nello stimolare il ritorno (fidelizzazione) verso un luogo che ti ha lasciato una esperienza positiva?

In questa prospettiva in corso di studio, i clienti possono essere assimilati a “digestori di stimoli”, e andare incontro a fenomeni di “indigestione” o invece di “ipostimolazione”.

Facciamo un esempio molto pratico sotto forma di metafora, muoviamoci per un attimo su un altro piano. Immaginiamo di essere al ristorante, proviamo a comparare un’esperienza di acquisto ad una esperienza culinaria… notiamo immediatamente molte similitudini. Entriamo in un ristorante, iniziamo ad orientarci, ci sediamo, scegliamo qualcosa, spesso con scelte di fatto diverse dalle aspettative con cui eravamo entrati, a seconda degli stimoli che percepiamo all’interno… poi  arriva il cibo. Mentre mangiamo, il nostro stomaco ci lancia segnali su come sta andando, ci informa su quando è troppo pieno o vuoto, ci dice se “ci sta ancora qualcosa”, o “è meglio fermarsi”, a volte si lascia prendere dal “grappino della casa”…, a volte si ferma all’antipasto, ma in ogni caso sono attivi fenomeni di vigilanza continua e attenzione, che ci portano in genere ad evitare stati di sovralimentazione grave (star male per eccesso di cibo) o ipoalimentazione grave (alzarsi con una fame ancora elevata)…. questo salvo alcuni fenomeni di “cene di fine corso”, “addi al celibato”, e altre evenienze occasionali, in cui il meccanismo di controllo salta… ma questa è altra faccenda… (scientificamente, si tratta di un fenomeno ben noto di allentamento della vigilanza).

Numerosi studi dimostrano che esiste difficoltà a sostenere l’attenzione e vigilanza per lungo periodo. Sia i compiti troppo difficili, che i compiti troppo facili, riducono ancora maggiormente la capacità di attenzione. Anche la ritmicità di presentazione (mono-tonia) e la cadenza invariata per tipo e qualità degli stimoli (forme, luci, colori, suoni, persone) diminuiscono le capacità attentive.

Dobbiamo quindi prestare estrema attenzione al concetto che io chiamo Ritmo di Presentazione degli Stimoli (RPS), un concetto che ho elaborato per valutare le sessioni didattiche e di formazione manageriale che conduco, e si presta molto bene ad essere utilizzato in sede di psicologia dei fenomeni di acquisto. Il conetto prende in considerazione le cosiddette Varianze Zonali o Emergenze (aree che si distinguono da altre per le stimolazioni che offrono). La psicologia del marketing ha già evidenziato che i clienti sono anche e soprattutto cercatori di esperienze positive (positive sensation seekers) e non solo di prodotti. Acquistano un mix di esperienze e prodotti, e se l’esperienza è monotona o negativa cercheranno lo stesso prodotto altrove (approfondimenti al volume Psicologia di Marketing e Comunicazione al link http://www.studiotrevisani.it/alm2/ ).

Troppo spesso le imprese focalizzano le proprie risorse sulla qualità del prodotto, sulle caratteristiche intrinseche del bene o servizio, dimenticando che la qualità complessiva percepita (e quindi la soddisfazione complessiva del consumatore) proviene anche dal canale distributivo, il luogo d’aquisto in sè vale almento quanto il prodotto e il prezzo. E non solo, contano il rapporto personale con l’erogatore del servizio e con la rete di vendita e di assistenza.

Una breve sintesi del concetto è esposta nel volume Psicologia di Marketing http://www.studiotrevisani.it/alm2/interazioni-cs.htm:

…. è necessario distinguere i concetti di customer satisfaction di prodotto (CSP) e customer satisfaction di canale(CSC) o channel satisfaction.

La CSP riguarda le caratteristiche intrinseche del prodotto o servizio (composizione, struttura, performance).

La CSC include: (1) componenti relazionali e (2) componenti logistiche, che sommate producono la qualità complessiva del servizio erogato dal canale distributivo: capacità di rapporto interpersonale, cortesia, tempi di risposta, servizio post-vendita e assistenza, la facilità di accesso al luogo di distribuzione, la facilità di acquisizione del prodotto/servizio, il rispetto dei termini e condizioni di consegna.

E la ricerca prosegue. I contributi delle neuroscienze dicono oggi che nella Channel Satisfaction (la soddisfazione verso il punto di acquisto) rientra oggi anche il rispetto cognitivo, la comprensione del bisogno di rispettare la fisiologia umana e non “spremere” le persone, offrire loro rispetto umano, ambienti d’acquisto positivi, e attenzione a nuovi bisogni.

Nel volume “Il Potenziale Umano” (vedi scheda al link http://www.studiotrevisani.it/hpm2/index.htm) ho potuto iniziare un accenno basato sulle neuroscienze: se vogliamo rispettare la fisiologia umana (e rispettare oltretutto la persona umana, che non è poco) dobbiamo variare gli stimoli che riceve un cliente (utente formativo, o cliente in fase di aquisto) tenendo conto della alternanza tra simolazioni del sistema nervoso parasimpatico e stimolazioni del sistema nervoso simpatico. Questo, ad esempio in campo di formazione manageriale, determina la necessità di alternare:

  1. training centrato sul sistema nervoso simpatico (attività di tipo agonistico, aggressivo, competitivo, ad alta tensione, under pressure) vs.
  2. training centrato sul sistema nervoso parasimpatico (attività di tipo rilassato, calmo, sereno, tranquillo, meditativo, low pressure).

Allo stesso modo avremo in area marketing:

  • spazi e zone di acquisto centrate sul sistema nervoso simpatico (maggiore densità informativa, maggiore richiesta di elaborazione cognitiva e attenzione nel cliente) vs.
  • aree e isole emotive nei punti di acquisto centrate sul sistema nervoso parasimpatico (attività/spazi/ambienti di tipo rilassato, calmo, sereno, tranquillo, meditativo, low pressure), come inserti dispazi verdi,  micro- o macro-aree di rilassamento visivo con stimoli naturali, angoli uditivi e visivi di decompressione (il che non significa ambiti visivi vuoti, ma ambiti con funzione di riduzione dell’arousal, o riduzione dell’attivazione forzata).

La modalità di frazionamento e differenziazione tra attività che interessano il sistema nervoso simpatico (alta attivazione agonistica e attentiva) vs. attività che interessano e stimolano prevalentemente il sistema nervoso parasimpatico (rilassamento e recupero), riguarda indistintamente il lavoro sul corpo (es, medicina psicosomatica) così come la formazione aziendale (corsi di formazione per manager e formazione del personale) il il coaching, l’ingegneria dei momenti di acquisto e l’ingegneria degli spazi di acquisto (consumer engineering)

Come ho potuto segnalare nel volume “Il Potenziale Umano”, nel metodo HPM viene utilizzata in particolare la “cartografia di Fisher”[1], una metodica poco nota, di frontiera, nata per mappare gli stati mentali, la percezione, sino agli stati alterati di coscienza (ASC – Altered States of Consciousness).

Si tratta di un’area di studi di alto interesse negli anni ‘60 e ‘70, oggi poco frequentata, ma assolutamente utile per localizzare i tipi di attivazione mentale. Questa scala è stata da me ulteriormente rielaborata ed utilizzata su più fronti, per progettare training variati in termini di intensità e tipo di esperienza, e portare nuovi concetti nella psicologia umanistica dell’acquisto, una psicologia del marketing che rispetta la persona.

In generale, le tecniche di frazionamento servono per evitare la monotonia e la noia, ma anche la perdita di efficacia di una tecnica che arriva inevitabilmente in seguito alla mancanza di varietà nel tipo di lavoro allenante svolto o negli stimoli presenti. Sequenze di input e stimoli, in cui le varie tipologie di stimolo (nel marketing), di  esercizio o esercitazione (nella formazione aziendale) vengono combinate nel tempo, danno luogo a maggiore varietà e maggiore efficacia, perchè rispettano i bisogni basilari della fisiologia umana.

Bene. Questo vale per chi vuole far propri alcuni concetti basilari e fondamentali di una nuova psicologia del marketing umanistico. Come farlo. Occorre mettere mano ai metri quadri e variarli. Occorre costruire isole esperienziali d’acquisto (mondi emotivi, isole connotate, “emergenze” merceologiche) affiancate a zone di decompressione cognitiva, nei quali è possibile inserire ogni tipo di stimolazione naturalistica, elementi architettonici connotati, zone verdi interne, zone di relax, angoli di meditazione d’aquisto, zone di consulenza d’aquisto, zone di problem-solving d’acquisto… e tanti altri strumenti (non mi è possibile sviluppare in questo spazio un intero manuale, ma le tecniche esistono).

Tradurre questi concetti in pratica è assolutamente possibile. Soprattutto, attraverso azioni di perceptual engineering (ingegneria esperienziale), attività che uniscono un lavoro di tipo architettonico (diversa disposizione delle merci, illuminazioni, aree e zone di acquisto diversificate, intervento dei sensi e marketing polisensoriale), visual merchandising innovativo centrato sulle “isole esperienziali” (assolutamente diverso da quello classico), nuove geometrie interne, nuova e diversa formazione del personale di contatto, formazione forte dei manager sui principi del marketing percettivo, iniziative di sensibilizzazione della direzione aziendale per i nuovi temi di psicologia del cliente, una grande voglia di creare spazi di aquisto positivi, unita al know-how necessario, e… un forte valore di fondo: considerare il cliente come un essere umano.

Poche aziende hanno oggi la sensibilità per farlo, ma chi investe oggi su questi punti sta costruendo i fattori reali del suo vantaggio competitivo.

Daniele Trevisani


[1] Fisher, Roland (1971), A Cartography of the Ecstatic and Meditative States, in: Science 26 November 1971: Vol. 174. no. 4012, pp. 897 – 904.