Trasformare aspirazioni in obiettivi pra­ti­ca­bili

Sul piano manageriale e della leadership, è importante partire dagli obiettivi, mentre per le azioni di coaching e consulenze in profondità è possibile esplorare anche gli antecedenti (sfondo pulsionale e sfondo aspirazionale).

Per tutti, risulta importante correlare una visione a obiettivi praticabili.

Gli obiettivi si traducono in goal (risultati misurabili), progetti (sequenze di attività) e task (compiti).

Figura 12 – Sequenza Obiettivi-Goal-Progetti-Tasks (generale)

sequenza obiettivi goal progetti tasks

Così, per una famiglia:

  • possiamo identificare lo sfondo “volontà di far crescere i figli”, legato all’aspirazione ad essere un buon padre o madre; lo sfondo pulsionale latente è localizzabile nel bisogno umano di trasmettere i propri geni e avere una discendenza che li tramandi;
  • possiamo avere due obiettivi specifici: (1) farli “crescere bene” sul piano fisico, e (2) farli “crescere bene” dal punto di vista psicologico e intellettuale[1];
  • possiamo avviare diversi goal e progetti: (1) far si che il ragazzo/ragazza possano svolgere una attività fisica regolare (progetto sport), (2) curare la loro alimentazione (progetto alimentazione sana). Sul piano psicologico (3) evitare di dare esempi sbagliati, progetto di controllo del proprio comportamento modellante, (4) ascoltare i figli (progetto di ascolto), (5) seguirli e affiancarli nella realizzazione dei compiti scolastici (progetto di tutoring scolastico).

I progetti si traducono in precisi compiti (task), tra cui: portare il bambino/ragazzo alla palestra il lunedì e giovedì dalle 17,30 alle 19, ritagliarsi due serate specifiche e inviolabili dedicate esclusivamente alla famiglia, prendersi una giornata al mese di “uscita a coppia” per stare assieme, e qualsiasi altra attività positiva discendente dalla catena evidenziata.

Sono le azioni, la concretizzazione, che ci diranno se esiste o meno volontà reale e capacità reale di portare un’aspirazione nel piano concreto del fare.

Non deve stupire se il mestiere di genitore sia così difficile, vista la molteplicità di aree di attenzione che chiama in causa. Quello che deve invece stupire è la mancanza di qualsiasi tipo di training per chi deve fare il mestiere di genitore, che non sia l’esempio (spesso sbagliato) offerto da altri genitori o dai propri. Ma questo vale anche per i leader, e i manager, il cui sistema formativo è spesso relegato all’“osserva e copia”, ripetendo gli errori di chi li ha preceduti.

Notiamo subito che la sequenza presenta numerosi momenti di comunicazione, sia tra i genitori che in presenza dei figli, tra cui “decidere quale sport”, “saper ascoltare”, e numerosissime altre situazioni comunicative.

I momenti di comunicazione sono altrettanto frequenti e numerosi nella leadership.

La qualità di questi momenti comunicativi è direttamente correlata alla possibilità di conseguire i risultati desiderati.

Principio 30 – Focalizzazione degli obiettivi e backward planning

La qualità della vita nei gruppi di lavoro e la performance dei gruppi stessi è correlata:

  • al grado con cui le azioni quotidiane e i compiti (task) seguono progetti specifici;
  • al grado con cui i progetti sono ancorati a goal definiti e misurabili;
  • al grado con cui i goal sono ancorati ad un obiettivo;
  • al grado con cui gli obiettivi sono ancorati alle aspirazioni individuali;
  • alla comprensione degli sfondi (sfondo pulsionale e sfondo aspirazionale) che muovono gli obiettivi;
  • alla comprensione dei filtri culturali attivi nel dare propulsione o invece frenare il passaggio dallo sfondo pulsionale all’aspirazionale, e da questo agli obiettivi;
  • alla capacità di ricentrare le energie mentali sulle priorità.

Nelle organizzazioni, il team-leader funge da decisore, coordinatore, comunicatore, e motivatore, esplicitando il raccordo e coordinamento tra le diverse fasi (task, progetti, goal, obiettivi), per ogni membro del team.

Vediamo ora come la catena aspirazioni-obiettivi-goal-progetti-task produca, anche in un’azienda, una molteplicità di attività di comunicazione interna. Realizziamo il seguente esempio:

  • aspirazione: essere orgoglioso di se come imprenditore e dell’azienda che si è costruita (sfondo pulsionale: bisogno di immortalità, di essere ricordato, di passare all’aldilà con un’immagine di sé positiva);
  • obiettivo: riqualificare fortemente la propria rete di vendita dal punto di vista strutturale, motivazionale e delle competenze delle risorse umane;
  • goal: ridisegnare la rete sul territorio, definire una procedura incentivante, migliorare le competenze, in particolare le modalità di intervista del cliente e la capacità di comunicazione e negoziazione;
  • progetti: progetto esemplificativo 1: “One Area – One Team” in cui viene assegnata la leadership territoriale ad una precisa figura professionale, e si decide quali siano le risorse del suo team; progetto esemplificativo 2: “training in negoziazione avanzata”, in cui i membri del team apprenderanno le tecniche di ascolto strategico del cliente durante la negoziazione, e altri progetti necessari per concretizzare gli obiettivi;
  • task: definire le date per la formazione, selezionare il responsabile per ogni area, selezionare i membri del team di ogni area, definire la scaletta di incentivazione, selezionare il formatore/consulente per la fase formativa, e altri compiti correlati.

Come abbiamo evidenziato, la capacità di produrre risultati nei gruppi ad alte performance parte dalla qualità nella definizione stessa degli obiettivi e dei goal. Obiettivi e goal imprecisi producono demotivazione e scarsa stima verso chi li formula, e favoriscono la nascita di climi comunicativi dispersivi.

Per quanto concerne gli obiettivi, la loro caratteristica più rilevante è quella di essere ancorati ad un percorso che il soggetto possa comprendere.

Secondo una sequenza classica di management, i goal individuali devono correlarsi a quelli del gruppo di lavoro, e a risalire a quelli del dipartimento o set­tore aziendale, ma anche ai valori, alla visione e alla missione dell’a­zien­da[2].

Una delle capacità delle quali il leader deve impossessarsi è capire come i membri del proprio team vivano i compiti nei quali sono impegnati, in particolare:

  • qual è il vissuto emozionale del soggetto (positivo, negativo) e quali le sue sfumature e motivazioni;
  • qual è il “punto di rottura” del soggetto, la sua resistenza rispetto alla situazione che vive, la sua possibilità pratica di vivere il progetto con motivazione;
  • quanto il collaboratore è pronto a fidarsi del proprio leader in caso di divergenze sulla linea di azione da utilizzare;
  • quanto margine di libertà si intende dare all’individuo, in relazione alle sue esperienze e capacità.

Come insegnano i classici della sociologia dell’organizzazione, la leader­ship si carica di paure e false rappresentazioni, che bisogna apprendere a riconoscere ed evitare.

Abbiamo generalmente un’immagine del tutto falsa dell’azione organizzata. Sopravvalutiamo troppo la razionalità del funzionamento delle organizzazioni. Ciò ci conduce, da un lato, ad ammirare eccessivamente la loro efficacia o perlomeno a credere che sia scontata, dall’altro, a manifestare timori davvero esagerati davanti alla minaccia di oppressione che esse farebbero pesare sugli uomini. I paragoni che ci vengono in mente sono di tipo meccanico. La nozione di organizzazione evoca prima di tutto un insieme di ingranaggi complessi, ma perfettamente congegnati. Questo meccanismo sembra ammirevole finché lo si esamina soltanto dal punto di vista del risultato da ottenere: il prodotto che esce finito dalla catena di montaggio. Esso cambia invece radicalmente di significato se si considera che gli ingranaggi sono costituiti da uomini[3].

Le false rappresentazioni evocate dalla citazione sono quelle dell’or­ga­niz­­zazione come sistema perfetto. Saper vivere in sistemi imperfetti è una conquista e un traguardo.

Un salto di qualità manageriale consiste nell’accettare un margine di imperfezione come fisiologico nella conduzione del gruppo.

Le paure da eliminare sono le “minacce di oppressione” che la leadership comporta: il leader deve apprendere anche a fare i conti con decisioni impopolari, assegnare goal e task che non corrispondono ai desideri del collaboratore, forzare la linea di azione verso la direttrice che ritiene più opportuna alla luce delle sue esperienze, se è vero che esse sono superiori.

Fatto ogni sforzo di condivisione, rimane il dovere di assumersi la responsabilità dell’autorità e dell’imposizione dall’alto quando la condivisione non sia possibile, e dirigere. Il coraggio del leader si misura anche dalla volontà di scegliere e selezionare i propri compagni di squadra.


[1] Questi goal sono misurabili: la misurabilità in sé non è un risultato, ma solo uno strumento per verificare quanto si stiano compiendo progressi verso gli obiettivi.

[2] Gifford, J. (2002), Goal Setting, materiale didattico riservato, University of Miami.

[3] Crozier, M., Friedberg, E. (1978), L’attore e la sua strategia, in Attore e sistema sociale, Etas Libri, Milano, p. 25. Titolo originale: L’acteur et le système: Les contraintes de l’action collective, Editions de Seuil, Paris (1977).

Copyright. Articolo estratto dal volume “Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright Franco Angeli editore e Studio Trevisani Coaching & Training.

Trovare il formato motivazionale che funziona su di sé (o sul cliente, dal punto di vista del coach)

Motivazione al cambiamento positivo

Tra i temi fondamentali da trattare si trova quello della percezione del task da compiere. Ogni task (compito) può avere letture diverse.

Un task può essere demotivante se affrontato con lo spirito sbagliato, e motivante se si trova lo spirito giusto con cui affrontarlo.

Non tutti i tipi di “spirito” o disposizione mentale funzionano nello stesso modo, e ciascuno dovrà trovare in sé o con l’aiuto del coach l’assetto mentale o format che più riesce a motivarlo.

Ad esempio, Victor Martinez, professionista di bodybuilding, afferma:

Io affronto una sfida contro me stesso e sono un gran lavoratore. Quando mi dicono di divertirmi alle gare, io penso che non è affatto così, perché è il mio lavoro. Nessuno dice a uno di andarsi a divertire in ufficio tutti i giorni alle nove di mattina, no? Io faccio il mio lavoro con il massimo impegno, e anche di più[1].

In questa testimonianza notiamo che il format motivazionale operativo, che funziona su questo atleta, è il costruire un concetto di “lavoro serio” nel suo programma di allenamento, una professionalizzazione di quello che per altri è un normale svago o passione (la palestra), facendolo diventare sfida contro se stesso, e non necessariamente un divertimento.

Per altri, questo format può invece essere distruttivo.

Questo atleta ha trovato un formato motivazionale che funziona su di sé, ma lo stesso formato applicato ad un suo collega potrebbe non funzionare o essere invece fonte di frustrazione continua e portare all’abbandono.

Su ogni persona è necessario un grande lavoro di personalizzazione.

Personalizzare la motivazione è un forte lavoro di coaching e formazione.

La motivazione si ritrova per molti nel format della sfida contro altri: per alcuni, il senso della sfida rimanda ad una visione di sé epica, maestosa, leggendaria, ed è il driver interiore più forte quando si tratta di produrre una performance in alcuni campi di battaglia professionale. In altri casi, il format si arricchisce di più strati motivazionali, ad esempio, sfida + contributo.

Nel caso seguente notiamo come si vadano a stratificare il format della sfida contro il nemico assieme al format della sfida contro la lesa maestà (sfida all’immagine di sé). I due motori psicologici, sommati, aumentano l’effetto.

La testimonianza è tratta da un intervista ad un combattente professionista, nella quale possiamo notare come l’energia della sfida, se ben canalizzata, possa produrre un dose supplementare di energie per la preparazione di se stessi:

Intervistatore: Quasi tutti ti davano per spacciato contro Tito Ortiz…

Tutti lo credevano imbattibile, tutti credevano che nessuno lo potesse battere nella categoria dei 93 chili, ma io ero li…. Ero anche pronto ad affrontarlo senza ricompensa, volevo questo titolo. Seriamente, mi ha fatto incazzare essere li e sentirli parlare come se io non rappresentassi la benché minima minaccia per lui.

Ciò ti ha offeso? Ma, non veramente. Ciò mi ha dato ancora più energia, mi ha fatto allenare ancora più intensamente[2].

I format motivazionali non devono essere unicamente o necessariamente mossi dal motore psico-agonistico. Altri possono trovare motivazione su un fronte opposto, nel format della “relazione di aiuto” (aiutare gli altri), o nell’espiazione (impegnarsi per scontare una pena), o nella vendetta (impegnarsi contro), o per una causa in cui credono (impegnarsi per).

In ogni caso, il lavoro del coach deve consistere nel trovare quale format motivazionale possa meglio funzionare sul soggetto, ma anche localizzare e rimuovere i format attivi sbagliati, che agiscono ora come modello errato e possono risultare distruttivi o controproducenti per la persona stessa, sebbene essi possano risultare buoni per altri, o aver funzionato in passato.

Ciò che ha funzionato in passato, in un contesto diverso può non avere più lo stesso effetto, o diventare persino controproducente. L’esame qui deve essere assolutamente situazionale e personalizzato.


[1] Berg, M. (2006), La svolta di Victor, Flex, n. 4, pp. 70-79. Rif. p. 75.

[2] AA.VV. (2004), IceMan Chuck Liddell, Reportage da “Fight Sport”, n. 2, ottobre, p. 30.

Copyright. Articolo estratto dal volume “Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright Franco Angeli editore e Studio Trevisani Coaching & Training.

Effetti dell’esercizio fisico sulla perdita di peso

La perdita di peso, in particolare la diminuzione della massa grassa, avviene grazie all’esercizio fisico principalmente con 3 meccanisimi:

Allenamento a medio-bassa intensità e lunga durata. Per determinare il weight loss l’aspetto più modulabile è l’attività fisica, dove si cerca di aumentare la spesa calorica favorendo il consumo di acidi grassi. Lavori aerobici a bassa intensità(minore 50 % VO2Max) attivano la beta-ossidazione e combustione acidi grassi, ma in questo caso il consumo calorico totale è ridotto. Aumentando l’intensità sui 60-65% VO2Max si ha una relazione ottimale tra consumo calorico e di grasso. È fondamentale in questo range di intensità avere un volume di lavoro elevato. Il WHO specifica che per determinare perdita di peso e dimagrire sono necessari più di 250 minuti/settimana, con consumoiv calorico che supera le 2000 kcal/settimana.

Fenomeno del Browning, l’attività fisica causa produzione di catecolamine, soprattutto in esercizi che superano i 150 watt, quindi intensità 65% VO2Max e superiori, con un incremento nella fase iniziale. Le catecolamine hanno effetto sulla trascrizione delle UCP1, proteine ad attività disaccoppiante nei mitocondri che non permettono la fosforilazione ossidativa, quindi formazione ATP, ma causano dispersione di ioni idrogeno sotto forma di calore. Questo fenomeno è tipico del tessuto adiposo Bruno e permette una diminuzione della BMI. L’esercizio fisico può trasformare il tessuto adiposo Bianco (deposito di trigliceridi) in Bruno, aumentando il metabolismo basale.

EPOC, excess post exercise oxigen consumption. Dopo aver svolto attività fisica si osserva un aumento del consumo di ossigeno. Evidenze scientifiche dimostrano che esso dipende da intensità e durata. Si attiva questo meccanismo sia dopo esercizi aerobici moderati, con aumento EPOC in relazione a aumento durata; in esercizi aerobici lattacidi; in esercizi anaerobici di forza. L’EPOC serve per ripristinare gli equilibri ormonali e fisiologici dell’organismo e stimola il consumo calorico anche molte ore dopo l’allenamento.

Una programmazione ottimale per il dimagrimento deve prevedere l’attivazione di questi tre meccanismi, quindi è importante eseguire allenamenti a diverse intensità, ricordando però che in soggetti obesi e sovrappeso raggiungere l’intensità per la soglia di attivazione dell’EPOC non è possibile ed è rischioso, bisogna quindi prima concentrarsi su un lavoro aerobico, creare una base ottimale di capacità aerobiche con stimoli di forza per evitare la sarcopenia, successivamente, dopo 6 mesi-1 anno, incrementare l’intensità.

Equilibri fisiologici nell’atleta femmina

L’attività sportiva nella donna deve essere strutturata seguendo specifiche indicazioni che fanno riferimento a meccanismi fisiologico-ormonali. Viene definita in medicina dello sport la “triade dell’atleta femmina”, cioè una catena di tre processi legati tra loro che influiscono sulla salute, sia in età giovanile, adulta ed in seguito alla menopausa. Questa triade è composta da:

1-Ridotta disponibilità energetica, questo può avvenire principalmente per due motivi: eccesso di attività sportiva non integrata con riposo e alimentazione; inattività e conseguente sarcopenia. Entrambe possono avvenire con o senza disordini alimentari, (anoressia, bulimia nervosa). Gli effetti della ridotta disponibilità energetica si osservano a breve termine con riduzione del metabolismo basale, ipoglicemia, disidratazione, deplezione glicogeno. Gli effetti a medio termine comprendono fratture, anemia, sideropenia. A lungo termine si può avere deficit di estrogeno, demineralizzazione ossea, osteopenia e osteoporosi precoce.

2-Disordini ormonali, la variazione si secrezione ormonale comporta menarca ritardato, amenorrea, oligomenorrea (aumenta il tempo tra due mestruazione).

3-Ridotta densità minerale ossea, con conseguente osteoporosi.

Risulta quindi di fondamentale importanza mantenere i parametri di disponibilità energetica normali, assumendo le giuste calorie giornaliere e attivando i processi insulinici e di sintesi proteica con la corretta attività fisica, che non deve eccedere nell’aerobico, poichè potrebbe causare sarcopenia ed i disturbi ormonali sopra citati. L’unione di esercizio aerobico e anaerobico, con sovraccarichi o movimenti naturali, strutturato in una programmazione che prevede le giuste pause di recupero e progressioni, permette il mantenimento degli equilibri energetico-ormonali. Nel caso in cui l’obiettivo fosse il dimagrimento da una condizione di obesità o sovrappeso, si lavorerà prevalentemente a media intensità aerobica prolungata, con integrazione di esercizi di forza per il mantenimento muscolare e l’aumento del metabolismo basale. Se invece il soggetto è in fase post-menopausa sarà importante concentrarsi su esercizi anaerobici per il mantenimento della densità ossea. Per i giovani atleti bisogna fare attenzione a non eccedere nell’aerobico prolungato, ad esempio in discipline come la maratona, corse oltre i 5-10 km, per evitare di causare i meccanismi della triade.

DNS – Dynamic neuromuscolar stabilization

Un valido metodo per intervenire sulla postura riguarda il DNS, chinesiologia evolutiva con integrazione dei principi neurofisiologici e biomeccanici. Esso si basa su due principi: Regolazione della pressione intra-addominale (IAP) e sistema di stabilizzazione vertebrale integrato della stabilità spinale (ISSS). Quest’ultimo consiste nella co-attivazione dei muscoli profondi cervicali e gli estensori spinali nella regione cervicale e toracica, co-attivazione bilanciata tra diaframma, pavimento pelvico, trasverso dell’addome, obliqui, estensori spinali nella regione toracica e lombare inferiore.
La maggior parte delle disfunzioni comunemente osservate è correlata al SNC, a una disfunzione del controllo motorio e non a una problematica locale delle articolazioni o muscoli. Per intervenire sulla compensazione o dolore si può lavorare sul ripristino del pattern motorio.

È un ri-allenamento della funzione. Può essere svolta con movimenti naturali degli schemi motori, a corpo libero (locomotion exercise, deep squat) o con l’utilizzo di palle mediche o fitball, elastici, ponendo attenzione prima alla stabilizzazione posturale del tronco, successivamente si passa a modelli di movimento controlaterale.
La stabilità neuromuscolare dinamica non viene raggiunta esclusivamente da un’adeguata forza addominale, estensori spinali, glutei, piuttosto avviene attraverso una coordinazione muscolare associata alla regolazione della pressione intra-addominale da parte del sistema nervoso centrale. Viene considerata la globalità delle catene cinetiche con focalizzazione sul recupero del pattern motorio, per una corretta stabilizzazione, movimento e respirazione utilizzando i principi della chinesiologia evolutiva.

Gli esercizi da eseguire sono infiniti, alcuni molto semplici e altri più complessi. In ogni caso sono coinvolte una molteplicità di catene muscolari e questo permette una vera e propria riorganizzazione del movimento, da un punto di vista anatomico e neuro-funzionale.

Sindrome da conflitto femoro-rotulea nel giovane atleta

La sindrome femoro-rotulea è una patologia molto frequente in atleti in età adolescenziale.

Essa provoca dolore cronico con cause multifattoriali, che includono problemi biomeccanici, deficit muscolari e sovraccarico.

Principalmente si osserva uno scorrimento della rotula all’esterno del canale anatomico in cui dovrebbe essere. Questo crea attrito contro il condilo femorale e provoca infiammazione della cartilagine articolare.

Le possibili cause comprendono: -Malalineamento degli arti inferiori (asimmetria punti di repere dx-sx); -Retrazione ischiocrurali, con il tensore della fascia lata; – Debolezza del vasto mediale, con conseguente instabilità rotulea.

Le problematiche muscolari possono essere quindi legate a iperespressione della porzione laterale e debolezza mediale. Il dolore è petcepito in zona esterno-rotula, tra rotula e femore.

Trattamenti possibili:

-Allungamento bicipite femorale e tensore fascia lata, con coinvolgimento della porzione glutea.

-Rinforzo del vasto mediale con contrazioni ad allungamento completo.

Oltre ad allungamento e rinforzo sono molto utili esercizi di “movimento naturale”, presenti nel pilates ma soprattutto in metodologie come il Dns (dinamic neurostabilization) che utilizza movimenti presenti in età evolutiva, come l’affondo completo e su varianti, che permettono una riorganizzazione neuro-muscolare che modifica la struttura anatomica del soggetto, con conseguenze positive in tutti gli ambiti del movimento.

Diaframma toracico, propriocezione e interocezione

Il diaframma è un setto muscolo tendineo che separa il torace dall’addome, formato da due emicupole con una depressione centrale dove poggia il cuore, il centro frenico.

Ha un’importante funzione posturale, essendo il luogo di convergenza delle catene miofasciali, con legami diretti e crociati (Meyers, Richer 2015). Sono presenti arcate accessorie in cui passano i muscoli quadrato dei lombi e Psoas, infatti ogni contrattura o retrazione di questi muscoli è un freno alla fisiologia del muscolo respiratorio.

Dal punto di vista biomeccanico il diaframma si trova associato anatomicamente o funzionalmente a molti muscoli (Busquet 2001): -Testa e rachide cervicale con gli scaleni, -Scapola con il piccolo pettorale, -Rachide dorsale con il dentato e romboide, -Rachide lombare con pilastri accessori e trasverso dell’addome, -Bacino con il quadrato dei lombi, -Arti inferiori con lo psoas.

Un blocco inspiratorio del diaframma può essere causato da alterazioni viscero-diaframmatiche con conseguenze a tutto il corpo.

Oltre alle funzioni metaboliche, circolatorie e escretorie svolge un’importante funzione emozionale, di interocezione e propriocezione, essendo coinvolto nelle azioni di pianto e riso e soprattutto per il fatto che nel centro frenico e porzione muscolare sono stati trovati recettori sensoriali, come corpuscoli di Pacini, del Ruffini, fusi neuromuscolari, organi tendinei del Golgi (Neuroscienze, F. Bear). Svolge pertanto un ruolo fondamentale nella propriocezione e interocezione. Le vie sensitive che confluiscono nel nervo vago e glossofaringeo arrivano al NTS, nucleo del tratto solitario, il quale invia segnali al centro respiratorio ed è fondamentale nelle vie che che collegano le sensazioni corporee all’insula, centro di integrazione dell’io corporeo, sociale e emozionale.

Esercizi di respirazione diaframmatica, uniti al rilassamento, possono muovere e sbloccare l’area interessata e dare benefici a tutto il corpo.

Le persone spesso si dimenticano come si respira correttamente, effettuano inspirazioni toraciche e il diaframma essendo un muscolo perde forza ed elasticità. Si crea una condizione respiratoria in cui la durata del ciclo inspirazione-espirazione non supera i 4 secondi, comportando a livello nervoso sensazioni ansiose e di pericolo.

Una variante di respirazione diaframmatica consiste nel partire da posizione supina, una mano sul torace e una sull’ombelico. Durante l’inspirazione antiverto il bacino ed estendo la zona addominale con la muscolatura del diaframma, con la mano sull’ombelico che si alza. Successivamente, sempre nella stessa inspirazione porto il torace in estensione permettendo al diaframma di estendersi anche in zona superiore e vedo l’altra mano che si alza. Dopo circa 4-6 secondi di inspirazione e 2 secondi di apnea effettuo l’espirazione, vedendo prima la mano sul torace che scende e poi la mano sull’ombelico e porto il bacino in retroversione.