Potenziale Umano

Potenziale Umano. Nel Metodo HPM sul Potenziale Umano (Human Performance Modeling) si distinguono 6 diverse aree di lavoro, che vanno dalle energie fisiche e mentali, alle competenze, sino alla progettualità e spiritualità. Vediamole di seguito.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal libro “Il Potenziale Umano. Metodi e tecniche di coaching per lo sviluppo delle Performance”. Milano, Franco Angeli editore

Lavorare sul potenziale individuale, dei team, delle imprese: il metodo HPM (Human Performance & Potential Modeling)

Le persone viaggiano per stupirsi delle montagne, dei mari,

dei fiumi, delle stelle e passano a fianco a se stesse

senza meravigliarsi

(Sant’Agostino)

Concetti fondamentali del Potenziale Umano: la visione della persona come sistema energetico

(Se vuoi approfondire il tema del Tuo Potenziale Umano e Potenziale Personale, guarda la pagina del Master Metodo HPM sul Potenziale Umano a questo link)

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, generare impulso, contributo e stimolo alla crescita della persona, dei team e delle organizzazioni.

Il metodo ha due distinte sfere di applicazione, tra di loro collegate:

  • crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling, e
  • sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

Il metodo contiene una concezione dell’uomo come articolazione di energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni.

Il metodo individua sei specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascuno di noi, indipendente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi, piccoli o grandi che siano. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuovi orizzonti che ci invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire, nel suo senso più profondo.

“Entrare” in queste sei celle ci permette di costruire progetti di crescita seri ed efficaci, siano essi la “liberazione” da ciò che ci frena, o l’aumento delle nostre risorse personali.

L’amplificazione delle energie e abilità di un individuo o di un intero gruppo o impresa, può proiettarci verso nuovi traguardi, e nuovi modi di essere. Prendere piena coscienza dei propri potenziali e lottare per raggiungerli è un’operazione che ha una propria sacralità, al di la del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Capire questo è essenziale oggi per fare del training aziendale serio, essere ricercatori o insegnanti degni di questo nome, ma anche nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo), nella consulenza, nei progetti di crescita personale, quando si esamina una persona o un’organizzazione, intesa come complesso di energie circolanti, il suo lato umano, il suo spirito vitale.

Il metodo HPM raggruppa tutti i fattori evidenziati in un modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) e li considera aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita.

Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna contributi, strumenti utili e operativi, è invece già possibile.

Figura 1 – Esposizione grafica del modello HPM del Potenziale Umano

Potenziale Umano Metodo HPM

 

Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani esistenziali superiori, ricercare, crescere.

Possiamo soffocare questa pulsione umana naturale, ma è come cercare di non respirare, prima o poi il bisogno viene fuori, ed è bene ascoltarlo.

Il modello HPM analizza l’essere umano come sistema energetico, una sinergia di forze (fisiche e mentali), la cui amplificazione può aumentare il grado di felicità, successo e potenzialità realizzativa.

Questo sistema complesso è composto da sottosistemi, che possono disporre di uno stato di carica variabile, e funzionare bene o male, con gradazioni intermedie di efficienza ed efficacia.

Per analizzare il potenziale globale della persona, non solo sul piano fisico o intellettuale, ma come essere umano nel suo complesso, abbiamo bisogno di localizzare quali sono i micro e macro-distretti su cui si può agire e come questi interagiscono tra di loro.

Dobbiamo anche saper muovere lo zoom di analisi dal micro al macro, dal particolare al generale, e viceversa.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

  • il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria, amplificazione sensoriale, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel team, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;
  • il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organis­mico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;
  • le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie che fanno la differenza in una prestazione manageriale o sportiva, le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente, le micro-abilità relazionali e comunicazionali da cui dipende un lavoro di qualità;
  • le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un ruolo; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne coscienti e in pieno controllo; la gamma delle abilità o portfolio di competenze di un individuo o di un team, e come questo deve essere rivisitato, riqualificato, formato, per essere all’altezza degli obiettivi che ognuno di noi si pone e delle sfide che vuole cogliere;
  • goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi e risultati attesi;
  • visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Al crescere della carica nei diversi sistemi aumenta l’energia complessiva della persona, dei team, e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e nutrirli.

La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi.

Le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio sulle sei aree.

Sul piano manageriale e sportivo, nei team e nelle aziende, le implicazioni sono altrettanto evidenti: lo stato di forma mentale e fisico delle persone, la loro carica motivazionale, le loro competenze, la loro progettualità, il loro spessore morale, fanno la differenza tra persone o team spenti, e persone, team o organizzazioni capaci, forti, motivate, piene di energia ed entusiasmo, desiderose di affrontare sfide e dare contributi veri.

Un modello efficace per il lavoro sul potenziale umano

Chiedersi qual è il proprio potenziale e quanto di esso abbiamo esplorato o raggiunto non è una domanda banale.

Questo accade in alcuni particolari momenti della vita in cui diventa importante per noi realizzare qualcosa, migliorare, ed esprimerci.

Quando questo accade, un sentimento dentro di noi cambia. Dalla realtà esterna iniziamo a spostare l’attenzione verso la realtà interna.

Ci poniamo domande, alcune di queste possono fare male, altre aprire nuovi orizzonti, ma non importa, poiché esse ci mettono positivamente in discussione. Nessuna domanda è inutile quando ragioniamo sul senso e sul significato di chi siamo e cosa vogliamo, quando ci chiediamo se e come vorremmo costruire qualcosa di cui essere fieri (una prestazione, o un contributo agli altri o ad una causa), o semplicemente essere diversi o migliori.

Per molti l’esito di una maggiore attenzione al potenziale personale è il desiderio di esplorarlo, o lasciare un segno, iniziare progetti, potersi guardare alle spalle ed essere fieri di come abbiamo vissuto, di quello che siamo e siamo stati, e dare un messaggio positivo a chi ci seguirà nel viaggio della vita. Per altri invece tutto rimane bloccato in una ruminazione mentale ininterrotta e auto-distruttiva. Le energie bloccate corrodono e distruggono anziché produrre e generare benessere, forza vitale, amore e passione.

La differenza tra i due risultati (crescita e sviluppo vs. ruminazione mentale negativa) sta nell’avere un modello e un supporto che aiuti a individuare meglio i traguardi, e i percorsi da intraprendere per arrivarci.

Insuccessi, cadute, blocchi, errori, fanno parte integrante di questo viaggio, ma il loro accadere non ne sposta minimamente il valore.

Ciò che differenzia un uomo da un sasso è che lo “stare compressi”, sepolti, essere trasportati senza chiedersi dove, o rimanere pressati e immobili, è accettabile per il secondo ma non per il primo.

L’uomo ha un bisogno intrinseco di “volare”, di esprimersi, di “ricercare”, di dare senso alla propria vita, e persino ad ogni propria singola giornata o azione.

Chi nega questo bisogno di espressione e crescita applica uno dei meccanismi psicologici più autodistruttivi che esistono, individuato in letteratura come self-silencing: autosilenziarsi, uccidere le proprie aspirazioni, mettere il tappo ai propri sogni, smettere di credere in qualcosa, pensare che tutto sia inutile, che non valga la pena, che le difficoltà sono troppe, o il mondo in fin dei conti sia sempre andato così.

Bugie. Bugie che ci raccontiamo per non entrare (giusto per usare un altro termine tecnico) in “dissonanza cognitiva”, la condizione di disagio che incontriamo quando ci rendiamo conto che qualcosa nella nostra vita non sta andando come vorremmo, o che potremmo essere migliori o semplicemente diversi. Coltivare il potenziale umano è invece un momento di liberazione.

Esistono implicazioni anche sul piano medico: quando una persona è priva di energie mentali, o non ha più alcun valore o ideale a sorreggerlo, o mancano le competenze per far fronte alla vita, il corpo soffre e può arrivare ad ammalarsi[1].

Desiderare di progredire, porsi domande, “chi, cosa, dove, con chi, perché”, è un obiettivo o passaggio inevitabile per ogni anima sensibile.

Dare impulso al viaggio della vita ha sempre senso. Ne può avere sia che si desideri unicamente una propria evoluzione personale, o che invece il percorso sia finalizzato al percorso professionale e aziendale.

Entrambi i viaggi hanno spessore e valore. Ambedue sono degni di attenzione e di supporto, perché una persona ferma e spenta non è utile a nessuno, così come non è utile avere imprese e team incapaci e demotivati.

I team più forti del mondo, e i più grandi campioni di tutti i tempi in ogni disciplina, o i più grandi pensatori della storia, sono tali perchè continuano a porsi domande e non sfuggire” il richiamo della natura”, la pulsione ancestrale che ci parla di evoluzione, che ci spinge a progredire, ad essere migliori.

Senza un modello che ci aiuti a trovare le direzioni di crescita, il nostro sforzo può risultare nobile ma vano. Si corre, ci si affanna, si investono tempi ed energie,  ma spesso senza una buon mappa di orientamento. Il risultato è un’enorme dispersione.

Un buon modello, invece, aiuta a trovare più rapidamente la strada. Se un modello non offre stimoli, indirizzi e orientamenti, risulta completamente inutile, come orientarsi in una mappa sbagliata o capovolta.

Un modello del potenziale umano, inoltre, può essere utilizzato in progetti concreti di business coaching, di consulenza, di training aziendale, di coaching sportivo, ma anche nel counseling, nei corsi di leadership, nella formazione.

Da quando esiste, l’uomo si sforza di costruire mappe per orientarsi e non perdersi. Abbiamo mappe degli strati più profondi della terra, dei mari, del cosmo, ma – stranamente – non ci vengono fornite mappe efficaci per orientarci nel nostro sviluppo personale o nei territori inesplorati del potenziale umano. Accompagnare le persone in questo viaggio è, per me, un onore.

[1] Una logica conseguenza che non possiamo nascondere è che la  medicina dovrebbe quindi occuparsi anche di questi fenomeni, unendosi alla psicologia e ad altre scienze, in un unica disciplina del funzionamento complessivo dell’essere umano.

Se vuoi approfondire il tema del Tuo Potenziale Umano e Potenziale Personale, guarda la pagina del Master Metodo HPM sul Potenziale Umano a questo link)

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal libro “Il Potenziale Umano. Metodi e tecniche di coaching per lo sviluppo delle Performance”. Milano, Franco Angeli editore

Il Potenziale Umano

Altri materiali sul Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

 

Lo Spazio Mentale del Progetto e la teoria dei 3 mondi (a cura di Angelo Rovetta)

Teoria della progettazione

 

Lo spazio mentale del progetto[1] – Il progetto tra naturale e artificiale

  • Copyright, Articolo a cura di Angelo Rovetta, in: Rivista Communication Research n. 1/2010 a cura di Medialab Research www.medialab-research.com

Nella teoria dei 3 Mondi Popper offre una euristica proposta dei modi con cui interagiscono la conoscenza, le azioni umane e i “dati” del mondo “fuori” dal soggetto che percepisce e che interagisce, che vive.

Il Mondo 1, dunque, è costituito dall’insieme delle “cose” che popolano la natura (dai sassi agli animali, dalle foreste alle vallate, dai monti ai mari). Tutto ciò che è dato prima dell’avvento e delle relazioni con il soggetto.

Il Mondo 2 è il mondo della soggettività percipiente, della coscienza, della introspezione e dell’autonomia, della autoreferenzialità del “io sono”: la coscienza.

Il Mondo 3 è l’insieme degli oggetti “artificiali”, costruiti dai soggetti nel tempo. Si tratta di oggetti fisici  (come gli strumenti e le protesi di cui l’uomo si è dotato nel tempo) o di oggetti “mentali” (le idee, i romanzi e le poesie, le formule matematiche e fisiche). Tutto ciò, insomma, che non era dato “prima”, ma che è stato immesso nel Mondo 1 (nella “natura”) dal Mondo 2 (l’uomo) tramite creatività, immaginazione, lavoro, manipolazione, interazione con i Mondi 1 e 3.

Infatti, la caratteristica “sistemica” dei 3 Mondi è che si influenzano reciprocamente e che gli oggetti del Mondo 3 “modificano” gli altri due Mondi.

Ecco, pertanto, dove si collocano la progettazione umana e i suoi prodotti: nel Mondo 3, ossia tra natura e artificio.

I progetti sono “oggetti” del Mondo 3, non esistenti “prima”, che, una volta creati dall’uomo,  oggettivati, concretizzati  nella materia (un  tempio, una leva, un dipinto, un libro, una formula scritta) e nelle relazioni tra cose e persone, entrano a far parte del Mondo 1, per così dire. Incrociano la sua naturalità, possono diventare essi stessi elementi del “paesaggio naturale” che si presenta alla percezione del soggetto.

Un paesaggio artificiale è “naturale” nella misura in cui diventa “ovvio”, scontato, un “dato”, per il soggetto che lo percepisce, ci vive, lo considera il suo contesto, il contesto – campo che produce il significato dei singoli elementi che lo compongono.

Se l’artificiale diventa “immanente” all’ambiente – contesto in cui è posto, si naturalizza, agli occhi del soggetto che osserva, cioè tende a essere percepito come un elemento del Mondo 1.

Il progetto, pertanto, ha un suo significato dal punto di vista del contesto, cioè dello spazio in cui è prodotto e si oggettiva, come risposta di un soggetto che interagisce con  il contesto – ambiente stesso.

Ha, però, anche un ulteriore significato, di diverso livello e valore logico, dal punto di vista del tempo, della sua durata, della processualità con cui opera nel suo contesto, nel modo in cui, da artificiale, diventa “naturale”.

In questo modo si ordinano i problemi di sempre, relativi ai modi di essere della conoscenza umana e ai rapporti tra soggetto che conosce e ciò che sta “fuori” dal soggetto, nonché ai correlati problemi dei rapporti tra natura, cultura e norma.

Cioè, alle relazioni tra desiderio (aspettative e previsioni), tra eredità (ciò che è dato perché avvenuto e creato nel passato) e intenzionalità, volontà, proiezione, investimento nel futuro (ciò che è possibile, probabile che avvenga domani, o che “deve” avvenire).

E’ in questo immenso campo problematico – sistemico che la mente umana “progetta”.

Lo spazio – mente: in interiore homine si genera il pensiero – progetto

Il soggetto si struttura, nella sua consapevolezza – coscienza, prima di tutto nelle sue relazioni spaziali: ognuno percepisce un “dentro e un fuori”. La percezione del dentro di sé è complessa, pur nel suo essere intuitivo. Vi è una percezione fisica delle proprie parti interne, che, perlopiù, è enfatizzata dal dolore fisico, dal malessere.

Vi sono sentimenti ed emozioni che provengono dal di dentro: nel sogno, e nell’incubo, per esempio.

La percezione interna di un sé psico-corporeo, de-limitato dalla pelle o dall’aura, si costruisce negli anni, con varie esperienze, esplorando il mondo – contesto intorno e costruendo il proprio “interno” come spazio interiore, introiettanto,  e ispezionando (introspezione) gli “spazi” della memoria, del percepito, del sentito, dell’intuito.

La mente e il cuore producono immagini, ma entro un campo – spazio che è l’interno di sé o il sé, autopoietico – autoreferenziale, che sta “dentro” l’involucro fisico, cioè la condensazione energetica che ci sentiamo di essere.

La percezione di pensare, di sentire e di amare sono processi che producono incessantemente immagini.

Le immagini che percepiamo e di cui siamo coscienti (anche quelle di cui abbiamo meno o nulla coscienza) consistono, quando “nascono”, in differenze nell’istante (Bateson).

Il perdurare delle immagini nell’apparato neurologico (memoria, tracce mestiche) genera il tempo, cioè il flusso, l’evoluzione delle forme, la complementarietà delle forme, la sommatoria delle differenze di immagini endogene ed esterne (percezioni di “oggetti esterni” tramite i sensi), antiche (ricordate) e nuove.

Immagine e spazio mentale: rapporti

La forma dell’immagine

Le forme di un’immagine sono bordi – confini: delimitano, definiscono “chiudono” uno spazio, non solo al proprio interno, ma, anche, costruiscono, per complementarietà, un ambiente esterno.

Nella mente nasce lo spazio, dentro e intorno alle forme, in quanto un’immagine che si crea dinamicamente nella mente con-forma lo spazio e produce, al tempo stesso, un campo energetico (l’attesa?) una tensione che costituisce lo spazio – contesto entro cui si manifesta l’immagine stessa.

Il campo – contesto non è necessariamente un a priori, ma tende a co-costruirsi insieme all’immagine che produce e da cui è, contemporaneamente, prodotto.

Si tratta di uno spazio dinamico, nel momento della creazione dell’immagine, cioè metamorfico.

Il “pensiero” è costituito da immagini: la mente è uno spazio riempito e costruito da immagini.

Le immagini creano lo spazio mentale e, se vi è uno spazio mentale previo, “riempiono” lo spazio.

Un certo numero di immagini ricorrenti, ripetute, consolidate, fermano il dinamismo della creazione di spazio e vengono percepite come spazio statico.

La fissazione – cristallizzazione dello spazio in forme “riconoscibili” modifica la percezione degli spazi mentali e di quelli dell’ambiente in cui un soggetto vive.

Il lavoro dei primi mesi di vita: il gioco del rocchetto, dentro fuori, presenza assenza, luce buio, c’è non c’è, costruisce lo spazio mentale e, contemporaneamente, lo spazio dell’ambiente circostante. Non c’è, dunque, diversità di tratti tra lo spazio che è la mente e lo spazio dell’universo sensibile, l’ambiente – contesto in cui ogni mente cresce e con cui si misura dialetticamente.

Dall’indifferenziato alla percezione della differenza: lo spazio si “costruisce” dentro e fuori il soggetto che osserva e conforma l’ambiente mediante i prodotti del mondo 3 di Popper.

Lo spazio è, poi, nell’evoluzione – durata del soggetto percepito come un a priori: da “campo energetico” anonimo (pura potenza – possibilità, virtualità), diventa un ambiente o un paesaggio in cui abitano le singole immagini, è il luogo del riconoscimento di immagini – oggetti attraverso questi processi spaziali di base.

– La categorizzazione: riconoscere forme, esterne al soggetto, per similitudine – analogia con forme consolidate, già esperite dalla mente; la memoria genera il tempo.

– La classificazione : inserire la forma identificata in classi di forme , cioè in “cartelle” – insiemi  individuati da alcune caratteristiche spaziali (qualità e quantità) comuni a tutti gli oggetti o soggetti identificati da quella forma categoriale che struttura lo spazio  mentale tra interno ed esterno.

La classe come astrazione: l’astrazione è una ricorsività, un ritorno di elementi. Ciò comporta un riconoscimento di forme , cioè di ritmi percettivi che si sovrappongono nella mente, nelle tracce mestiche, dando vita all’ ”essere simile a…”, la ripetizione di questo processo dà vita all’astrazione dal contesto di alcuni elementi ricorrenti e alla cartella o classe o decontestualizzazione degli oggetti e alla loro ricollocazione nel contesto classe : la classe è nominata.

La foresta come classe di tutti gli oggetti aventi le caratteristiche che definiscono la classe stessa.

La classe è un principio ordinativo e conoscitivo poiché permette l’attribuzione delle caratteristiche generali di appartenenza ai singoli oggetti che si osservano.

I numeri possono essere considerati classe di classi?

Ogni classe può contenere un numero a piacere di sottoclassi.

La classe della bellezza ha numerose sottoclassi: la classe degli uomini belli, quella delle donne belle, delle automobili, delle case, dei soprammobili, dei paesaggi, dei pensieri belli.

Esempio: il soggetto può riconoscere che un oggetto è un albero perché ha tratti formali (qualità e quantità) che definiscono un tipo di spazio (statico e dinamico). Se lo identifica – categorizza come albero, lo può classificare nell’insieme foresta – bosco, cioè la cartella classe spaziale che raccoglie tutti gli oggetti aventi alcune caratteristiche di definizione dello spazio (foglie verdi e/o gialle rosse, rami tronco, radici, ecc.) rugoso e/o liscio .

Lo spazio – immagini definito foresta – bosco può, a sua volta, avere alcune sue caratteristiche, in quanto insieme, autonome, non indipendenti, rispetto alla categoria del singolo albero. In questo caso, da classe degli oggetti – albero passa a partecipare dei processi di identificazione spaziale delle categorie – categorizzazioni spaziali.

Sette dimensioni per lo spazio –  mente

Nello spazio mentale le immagini di solito vengono create secondo le tre dimensioni dello spazio fisico percepito : altezza, lunghezza e profondità.

Ma l’immaginazione ha la capacità di “trasformare” le immagini inserendovi il dinamismo del tempo e della relativa processualità: le metamorfosi delle forme richiedono il tempo dell’evoluzione delle stesse. Il tempo e il processo sono, dunque, la quarta dimensione dello spazio – mente.

La quinta dimensione è costituita dalla “tenuta” delle forme nel tempo: la memoria permette la ricorsività e il riconoscimento del già esperito una volta. E’, perciò, collegata al tempo e ha una funzione generativa.

La sesta dimensione è costituita dall’intuizione – sintesi, la capacità di cogliere ciò che è invisibile e sottile, le tracce, le ombre della realtà: si tratta del famoso “sesto senso” o del “terzo occhio” posto in mezzo alla fronte e che permette la percezione o la sintesi cosciente dell’impercettibile. L’intuizione è la dimensione, la sorgente da cui sgorga il nuovo: segni e simboli, immagini , che poi l’uomo riesce a rendere oggetti e strutture anche fisiche, che la mente genera a partire dalle immaginazioni intuitivo-sintetiche.

La settima dimensione è strettamente connessa con l’intuizione: si tratta dell’energia vitale che “anima” ogni soggetto, detta anche intelligenza emotiva.

Più semplicemente si può parlare della dimensione erotica, dell’eros, della capacità d’amare, dell’impulso di “essere attratto da”, cioè di prendere dentro (desidero possederti) e lasciarsi prendere dal desiderio altrui (di solito espresso da persona, ma anche da oggetti naturali o artificiali).

L’eros, come dimensione mentale, non va confuso con il cosiddetto appetito sessuale.  L’ ”istinto” sessuale si manifesta, insieme agli altri bisogni primari, come fattore biologico ed esercita la sua funzione evolutiva di mantenimento della specie.

L’impulso sessuale, ormonale, nello spazio mentale interagisce con gli altri spazi immaginativi e diventa dimensione erotica: una modalità specifica di costruire, “generare” immagini e, dunque, di progettare.

Si tratta di una mente pluridimensionale (con molte sfaccettature) o di un unico spazio mentale, integrato, a sette dimensioni?

Ritengo che ci possano essere momenti, nella vita, o persone, che utilizzino in modo non integrato le potenzialità e qualità della mente immaginativa.

Sono, tuttavia, potenzialità che possono essere sviluppate: perciò è utile la formazione.

Raggiungere la capacità d’uso della mente come spazio integrato, in cui le sette dimensioni cooperano alla generazione di progetti (immagini, idee, procedure, pianificazioni), è possibile e fa parte dello sviluppo umano, sia del singolo, sia del genere.

La virtualità, ossia  la speranza del futuro – pre-vedere

Il futuro, nello spazio mente, non fa parte del tempo: nella mente le immagini sono sempre al presente, lì e in quel momento; possono essere archiviate nella memoria, possono subire metamorfosi, ma sono sempre “presenti”.

Del resto, ogni progetto presuppone un tempo in cui potrà, dovrà essere realizzato.

E’ una necessità del progetto implicare la speranza di un futuro in cui il progetto stesso sarà possibile, verrà generato e oggettivato.

Ogni progetto è un investimento su un possibile futuro che gli è dato e dovuto se vuole esserci. Se vuole passare dal possibile al “fattibile” e al realizzabile – realizzato.

Il giudizio di fattibilità indica la potenza del progetto. Fa parte, ancora, della virtualità, che è il modo di essere dello spazio mentale a sette dimensioni, la matrice del progettare.

Lo spazio mentale è uno spazio vuoto. Ma matriciale: è un vuoto gravido di infinite epifanie di immagini: emozioni e idee, segni e simboli, progetti. In questo consiste la virtualità di ogni progetto.

Nel progettare, la mente investe e ipoteca il futuro, lo pre-vede, in un gioco virtuale: “Supponiamo che…”

Un progetto possibile, perché ha investito sulla speranza del tempo futuro, non necessariamente è fattibile a breve, come dimostrano i tanti progetti leonardeschi e i “sogni”, le aspirazioni progettuali di tutti gli uomini.

La mancata realizzazione di tanti progetti dipende, dal punto di vista logico, probabilmente dal fatto che, nello spazio virtuale della mente, ogni progetto partecipa delle sette dimensioni che lo generano, mentre, quando lo si deve realizzare, si opera una violenta riduzione alle tre dello spazio fisico o alle quattro della “realtà” storica.

La tecnologia si sforza di elaborare progetti che ottemperino alla prevedibilità scientifica e, perciò, siano fattibili, in sé diligentemente ricorsivi, algoritmici.

Si tratta, in tutti i modi, di operare una serie di adattamenti e di adeguamenti, di “riduzioni” dimensionali, sino al punto che un progetto può venire “snaturato”, come si dice comunemente.


[1] Per queste riflessioni si sono seguiti i seguenti autori  “sistemici”:

G. Bateson, Una sacra unità, Adelphi, Milano 1997, G. Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano 1984, E. Marconi, Spazio e linguaggio, IPL, Milano 1990, K. R. Popper, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972, L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1990.

Psicologia della motivazione

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.4. Ricerca dei drivers motivazionali

Come si può notare, il tema esistenziale (meaninglessness vs. ricerca dei significati) è centrale non solo per il fronte psicoenergetico, ma anche per la costruzione di una Vision e di una progettualità.

Perché questo? Perché la mancanza di un senso può produrre effetti devastanti, dalla carenza di scopi personali al senso di inutilità dell’agire, sino a bloccare la ricerca di nuovi orizzonti esterni (ricerca esteriore) o interni (ricerca interiore). La mancanza di senso produce il limitarsi delle energie mentali alla pura sopravvivenza, e spesso nemmeno a quella.

Kinnier e altri autori individuano dieci credenze dominanti che fungono da ancoraggi o interpretazioni della vita[1]:

1. La vita è gioire della vita e vivere l’esperienza della vita

2. la vita è amare, aiutare, servire gli altri

3. La vita è un mistero

4. La vita è senza significato                      

5. La vita è servire Dio e prepararsi all’aldilà

6. La vita è fatica

7. La vita è contribuire a qualcosa più grande di noi stessi

8. La vita è auto-realizzarsi

9. Ognuno deve creare da solo un senso personale della vita

10. La vita è assurda o è uno scherzo.

Ciascuno di questi driver (motori profondi) interagisce con la cultura individuale e con la propria personalità.

In un soggetto possono scatenare una forte produzione psicoenergetica alcuni di questi (es.: 1, 2, 7, 8) mentre altri sono in grado di distruggere o minare la sua voglia di vivere (10, 6, 4), e per ciascuno esistono sfumature diverse. Naturalmente, ogni analisi vale nel tempo in cui è svolta, e il quadro può cambiare, anzi, deve cambiare in seguito ad un buon coaching o ad una formazione di qualità, in cui la revisione di priorità è risultato positivo e ricercato. Purtroppo, sul piano della relazione con se stessi, non conoscere quali sono i driver che ci attivano, è una lacuna gigantesca.

Ogni coach professionale deve localizzare quali sono i driver del cliente o del team in grado di accrescerne le energie mentali, e riuscire inoltre nell’operazione difficoltosa di inserire nuovi driver all’interno dei costrutti mentali già esistenti.

Questa operazione di arricchimento delle fonti di energia psicologica e motivazionale è di straordinario interesse e notevole complessità tecnica.

Operazioni di arricchimento sono possibili su più piani.

Es.: Per un atleta… tu non gareggi più solo per i soldi che guadagni ma anche per… un contributo ad una causa, per scoprire i tuoi limiti, per dimostrare chi sei, per riscattarti da quello che eri…

Per un praticante di fitness… tu non ti alleni più per dimagrire, il grasso e la pancia sono i falsi nemici, il tuo nemico vero è la noia, l’apatia, la tristezza, la vita dimezzata di uno che vive in catalessi nella pigrizia…

Per un operatore sociale… tu non stai accudendo un anziano, stai dando un senso alla tua esistenza…

Per un agonista…voglio che quando esci dal campo tu sia orgoglioso di come hai giocato, non dei punti che hai fatto…

Per un manager… voglio che, quando qualcuno ti chiede cosa hai fatto quest’anno nella tua zona, tu possa dire “ho costruito una buona squadra, ne sono orgoglioso”…

Per un ricercatore… tu scrivi, ma ricordati… non stai facendo una pubblicazione, a nessuno frega niente della tua pubblicazione, se non stai facendo qualcosa che serve veramente agli altri più che a te, stai sprecando tempo… se non è qualcosa di cui essere orgoglioso fai a meno… allora, cosa vuoi fare…?


[1] Kinnier, Richard T., Kernes, Jerry L., Tribbensee, N., Van Puymbroeck, Ch. M. (2003), What Eminent People Have Said About The Meaning Of Life, Journal of Humanistic Psychology, Vol. 43, No. 1, Winter.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.