Le tecniche di intensità

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Superare le situazioni di stress e fatica aumenta l’apprendimento

Esistono apposite tecniche denominate “tecniche di intensità” che puntano a far rimanere la persona entro la zona allenante di picco, per più tempo di quanto normalmente possibile. Tra queste:

In campo sportivo:

  • ripetizioni forzate: nell’uso di pesi, essere aiutati da qualcuno a completare qualche altra ripetizione dopo l’avvenuto cedimento, soprattutto nella fase iniziale del movimento, per sfruttare le energie residue;
  • carichi discendenti: il peso viene diminuito immediatamente dopo il cedimento, continuando a lavorare con un carico minore, con diminuzioni progressive sino allo sfinimento della zona allenata;
  • contrazioni di picco: mantenere la contrazione per alcuni secondi nel punto di massimo sforzo o in altro punto di forte intensità;
  • cheating: aiuto di altre parti del corpo per compensare il cedimento di una zona muscolare che ha esaurito le forze;
  • serie di preaffaticamento: esercizi finalizzati a pre-affaticare una zona muscolare, affinché gli esercizi successivi siano più difficili e intensi;
  • serie parziali: compiere solo la parte di movimento che rimane con le forze residue, anche se esse non sono più sufficienti a produrre l’intero mo­­vimento;
  • attività residuali: compiere solo le azioni di dispendio basso, rese possibili dalla poche energie rimaste. Es.: nella boxe, continuare a fare shadow boxing o “vuoto”, o solo movimenti di gambe, quando le energie per com­bat­tere sono esaurite, o per un corridore, continuare con una corsa leggerissima per qualche tempo al termine di una corsa intensa;
  • attività complementari: continuare a far lavorare un’area con un movimento alternativo, dopo che le forze sono esaurite sul movimento primario, es.: superset tra distensioni su panca e croci, per lo sviluppo dei pettorali;
  • superset: attività diverse condotte in sequenza, con pause minimali;
  • circuit training: circuiti allenanti con ampia varietà di esercizi.

La combinazione e permutazione di queste tecniche di intensità può amplificare ancora di più il tempo trascorso nella zona allenante e creare potenziamento elevato.

L’atleta deve prolungare il proprio allentamento oltre la soglia abituale, con una strategia programmatica, alternando fasi di sforzo elevato e fasi di recupero efficace, con riposo di qualità, alimentazione di qualità, intervalli intelligenti tra sforzo e recupero, fasi di rilassamento.

Lo stesso meccanismo avviene nell’apprendimento delle competenze relazionali e comunicative, come l’apprendimento di una lingua: vi sono momenti e fasi in cui ci si avvicina al senso di fatica, e una conversazione diventa difficile e dispendiosa. In molti gruppi di studenti all’estero si nota la tendenza a sfuggire da questo tipo di fatica e fare congrega tra connazionali, per evitare il disagio e la difficoltà di interazione in un lingua che si padroneggia poco. L’approccio di chi invece ricerca attivamente conversazioni con i madrelingua è quello di una consapevolezza: più si affronteranno parole nuove e sconosciute più si apprende, più si starà lontani dai connazionali più si farà una vera immersione linguistica (apprendimento in full-immersion), anche se inizialmente difficile.

Altrettanto vale nelle capacità manageriali: ogni capacità manageriale è frutto di apprendimento, e questo passa attraverso la gestione di situazioni di stress e fatica, superate, rielaborate e utilizzate come apprendimento (gestire una riunione difficile, parlare in pubblico, elaborare dati, prendere decisioni, esercitare la leadership in contesti sfidanti).

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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Capacità di percezione e discriminazione delle tipologie di fatica, dolore, sforzo allenante

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

“No pain, no gain”

Accanto alla abilità di trasformazione del vissuto del dolore, e gestione delle proprie forze, troviamo la capacità di percepire finemente il tipo di dolore o fatica in corso e distinguerne le tipologie.

Il dolore (negativo) di una articolazione infiammata è completamente diverso dal dolore di un muscolo in fase di allenamento intenso.

Continuare ad allenare un articolazione infiammata è distruttivo, avere questo tipo di dolore non è un obiettivo, è il dolore che porta alla distruzione. Il dolore muscolare positivo ha una sua riconoscibilità. L’atleta viene allenato e apprende a distinguere diversi tipi di dolore, quello che si accompagna ad un trauma, quello da fatica (es. acido lattico) e quello che fa crescere.

Lo stesso vale per la fatica mentale, la fatica che distrugge e quella che fa crescere hanno colori diversi e bisogna imparare a riconoscerle.

Esiste un dolore mentale legato al cambiamento di abitudini, e la psicoterapia porta spesso a momenti di dolore legato ad uno stacco dalle proprie abitudini consolidate.

Anche lo studio può portare fatica ma successivo appagamento.

Il dolore e la fatica possono anche riguardare l’intero corpo, e non zone specifiche, come in sport completi quali la boxe, il nuoto, il tennis e altri. Il senso generale di affaticamento pervade tutto il corpo. Vivere entro questo stato e continuare a lavorare entro lo stato è una competenza mentale.

La crescita di un bodybuilder si costruisce proprio tramite esaurimenti programmati. Avviene unicamente quando il muscolo viene portato ad esaurire le proprie energie sino (o vicino) al punto di cedimento, il punto in cui non si riesce più a muovere un certo carico allenante.

Questo sfinimento programmatico produce dolore, e il recupero successivo produce crescita.

Un celebre motto del pluricampione del mondo Arnold Schwarzenegger, in campo agonistico, recita “no pain, no gain”, cioè senza dolore non c’è crescita. Messaggio utile in alcune fasi di preparazione, ma pericoloso se applicato da incoscienti o preso come religione di vita da applicare in ogni campo e momento.

Attenzione: il fattore di crescita non è il dolore in sé. Non è il dolore a far crescere, ma il tipo di lavoro e di sforzo intenso necessario. Spesso questo sforzo si accompagna a stati dolorosi, soprattutto nella parte finale degli esercizi. Un coaching di qualità deve anche lavorare sulle training experience, le esperienze e sensazioni allenanti, e far capire il valore e il piacere che si può legare a questi momenti di fatica in cui però si genera crescita.

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