Economie energetiche: lavorare sui distretti locali e sulle energie complessive

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano: metodi e tecniche di coaching e training”, Franco Angeli editore, Milano.

L’essere umano ha una propria economia energetica globale, un insieme di equilibri delicati dal quale emerge il suo grado di “potenza” complessiva, la capacità di affrontare casi, azioni, sfide, problemi piccoli, grandi, semplici o complessi, dominandoli, o – in caso contrario – essendone schiacciati.

L’alchimia delle intere energie personali è decisamente complessa.

Anche i distretti locali del sistema umano hanno una propria economia locale. Possiamo esaminare non solo il tutto, ma anche specifiche parti.

L’economia energetica riguarda sia i macro-distretti (es.: fisico e mentale) sino, scendendo di scala, a toccare micro-economie molto specifiche.

Esistono economie locali nei distretti fisici, come una spalla, un ginocchio, lo stomaco, e ogni altro organo.

Lo stesso per le economie legate alle competenze mentali, come la concentrazione o la lucidità decisionale. La mente ha proprie economie generali che la portano a funzionare bene o male, così come economie in specifiche aree cognitive, es., la creatività. Ciascun distretto (sia corporeo che cerebrale) è inoltre un sistema aperto, e risente dei distretti con cui interagisce. Il complesso delle energie individuali è quindi articolato e si connette alle performance che la persona può o meno generare.

Ogni organo vive di risorse esauribili, ha proprie capacità di tenuta e propri punti di stress e di rottura, che non possono essere ignorati. Ad esempio, in reumatologia si studia il concetto di “economia articolare”, cioè l’“economia dell’articolazione” 1. Ogni zona del corpo, come un ginocchio, ha una sua economia locale, e possiamo chiederci quanto una persona può correre senza infiammarlo, che attività fisiche lo irrobustiscono o invece lo danneggiano, che tipo di nutrienti servono per tenerne in buono stato la cartilagine, e ancora come alzare un oggetto pesante senza danneggiarlo.

Chiedere alle persone di dare performance senza studiare (1) lo stato delle economie energetiche complessive, e, (2) le economie locali più direttamente coinvolte nella specifica prestazione, è come chiedere ad un cavallo di correre senza controllare se ha mangiato o se ha gli zoccoli. Vuol dire fregarsene e spremerlo per poi gettarlo, e questa non è la nostra filosofia.

Non siamo nemmeno dell’idea che sia bene massaggiare il cavallo per un anno in attesa che abbia voglia di correre (buonismo inutile), ma non riteniamo nemmeno utile o giusto frustarlo per spremere sino all’ultima energia di riserva. Ciò che serve è strategia allenante attenta.

L’approccio è quello del rimuovere (1) ipocrisie e buonismo, (2) aggressività inutili, e (3) improvvisazione.

Per lavorare tecnicamente alle performance attese, dobbiamo coltivare lo sviluppo personale e la condizione energetica, rispettando sia la sacralità della persona che la sacralità dell’obiettivo.

Cambiare comportamenti, studiare attentamente lo stato di un distretto fisico e/o mentale, tenerne conto nel proprio stile di vita, permette di gestire meglio le energie e la condizione sia del distretto che dell’intera attività personale.

Ottimizzare l’“economia specifica” dei distretti fisici, ridurre al minimo traumi o danni, permette di ampliare la possibilità operativa delle persone. Specifiche ricerche dimostrano come tenendo conto delle economie locali e ottimizzando i gesti e comportamenti sia possibile permettere di tornare a lavorare o ad allenarsi anche per chi ha avuto traumi. Questa attenzione alle energie ed economie, locali e complessive, va estesa ben oltre il fronte della malattia.

Lo stesso ragionamento “per distretti” tocca anche le economie del funzionamento mentale e cognitivo. Ad esempio, abbiamo una “economia delle capacità decisionali”, una “economia dell’ansia”, e ancora una “economia dell’attenzione”, o una “economia delle capacità relazionali”. Se parliamo tanto e forzatamente per lavoro, ci accorgiamo di non avere più voglia di parlare di lavoro magari in pausa, e vorremmo evitare altre attività relazionali obbligate. Questo ne è un esempio.

Tocchiamo con mano i livelli energetici ogni volta che una variabile viene chiamata in azione, ad esempio, per l’economia dell’attenzione, ne constatiamo l’esistenza ogni volta che un relatore sale sul palco o un docente insegna, e notiamo per quanto riusciamo a rimanere attenti.

Se non abbiamo dormito da giorni o abbiamo un forte mal di denti, o mal di testa, non avremo capacità di attenzione, la nostra economia ne sarà stata deprivata, le nostre energie saranno svuotate o assorbite da altro.

Ed ancora, incideranno le abilità del docente, l’interesse per il tema, in un rapporto mutevole e con equilibrio dipendente da molte variabili.

Il messaggio finale, anche in un contesto introduttivo come questo, è che – per lavorare seriamente al potenziale umano e delle organizzazioni – occorre la capacità di spostare il livello di analisi dal micro al macro, e viceversa, con una forte capacità di zoom, uno stretching mentale che è esso stesso lavoro allenante e formativo.

1 Vedi ad esempio lo studio di Pasqui, F., Mastrodonato, L., Ceccarelli, F., Scrivo, R., Magrini, L., Riccieri, V., Di Franco, M., Gentili, M., Valesini, G., Spadaro, A., (2006), La terapia occupazionale nell’artrite reumatoide: studio prospettico a breve termine in pazienti in trattamento con farmaci anti-TNF-alfa. Occupational therapy in rheumatoid arthritis: short term prospective study in patients treated with anti-TNF-alpha drugs, Reumatismo, 58 (3), pp. 191-198.

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Un modello efficace sul potenziale umano

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano: metodi e tecniche di coaching e training”, Franco Angeli editore, Milano.

 

Chiedersi qual è il proprio potenziale e quanto di esso abbiamo esplorato o raggiunto non è una domanda banale.

Questo accade in alcuni particolari momenti della vita in cui diventa importante per noi realizzare qualcosa, migliorare, ed esprimerci.

Quando questo accade, un sentimento dentro di noi cambia. Dalla realtà esterna iniziamo a spostare l’attenzione verso la realtà interna.

Ci poniamo domande, alcune di queste possono fare male, altre aprire nuovi orizzonti, ma non importa, poiché esse ci mettono positivamente in discussione. Nessuna domanda è inutile quando ragioniamo sul senso e sul significato di chi siamo e cosa vogliamo, quando ci chiediamo se e come vorremmo costruire qualcosa di cui essere fieri (una prestazione, o un contributo agli altri o ad una causa), o semplicemente essere diversi o migliori.

Per molti l’esito di una maggiore attenzione al potenziale personale è il desiderio di esplorarlo, o lasciare un segno, iniziare progetti, potersi guardare alle spalle ed essere fieri di come abbiamo vissuto, di quello che siamo e siamo stati, e dare un messaggio positivo a chi ci seguirà nel viaggio della vita. Per altri invece tutto rimane bloccato in una ruminazione mentale ininterrotta e auto-distruttiva. Le energie bloccate corrodono e distruggono anziché produrre e generare benessere, forza vitale, amore e passione.

La differenza tra i due risultati (crescita e sviluppo vs. ruminazione mentale negativa) sta nell’avere un modello e un supporto che aiuti a individuare meglio i traguardi, e i percorsi da intraprendere per arrivarci.

Insuccessi, cadute, blocchi, errori, fanno parte integrante di questo viaggio, ma il loro accadere non ne sposta minimamente il valore.

Ciò che differenzia un uomo da un sasso è che lo “stare compressi”, sepolti, essere trasportati senza chiedersi dove, o rimanere pressati e immobili, è accettabile per il secondo ma non per il primo.

L’uomo ha un bisogno intrinseco di “volare”, di esprimersi, di “ricercare”, di dare senso alla propria vita, e persino ad ogni propria singola giornata o azione.

Chi nega questo bisogno di espressione e crescita applica uno dei meccanismi psicologici più autodistruttivi che esistono, individuato in letteratura come self-silencing: autosilenziarsi, uccidere le proprie aspirazioni, mettere il tappo ai propri sogni, smettere di credere in qualcosa, pensare che tutto sia inutile, che non valga la pena, che le difficoltà sono troppe, o il mondo in fin dei conti sia sempre andato così.

Bugie. Bugie che ci raccontiamo per non entrare (giusto per usare un altro termine tecnico) in “dissonanza cognitiva”, la condizione di disagio che incontriamo quando ci rendiamo conto che qualcosa nella nostra vita non sta andando come vorremmo, o che potremmo essere migliori o semplicemente diversi. Coltivare il potenziale umano è invece un momento di liberazione.

Esistono implicazioni anche sul piano medico: quando una persona è priva di energie mentali, o non ha più alcun valore o ideale a sorreggerlo, o mancano le competenze per far fronte alla vita, il corpo soffre e può arrivare ad ammalarsi1.

Desiderare di progredire, porsi domande, “chi, cosa, dove, con chi, perché”, è un obiettivo o passaggio inevitabile per ogni anima sensibile.

Dare impulso al viaggio della vita ha sempre senso. Ne può avere sia che si desideri unicamente una propria evoluzione personale, o che invece il percorso sia finalizzato al percorso professionale e aziendale.

Entrambi i viaggi hanno spessore e valore. Ambedue sono degni di attenzione e di supporto, perché una persona ferma e spenta non è utile a nessuno, così come non è utile avere imprese e team incapaci e demotivati.

I team più forti del mondo, e i più grandi campioni di tutti i tempi in ogni disciplina, o i più grandi pensatori della storia, sono tali perchè continuano a porsi domande e non sfuggire” il richiamo della natura”, la pulsione ancestrale che ci parla di evoluzione, che ci spinge a progredire, ad essere migliori.

Senza un modello che ci aiuti a trovare le direzioni di crescita, il nostro sforzo può risultare nobile ma vano. Si corre, ci si affanna, si investono tempi ed energie, ma spesso senza una buon mappa di orientamento. Il risultato è un’enorme dispersione.

Un buon modello, invece, aiuta a trovare più rapidamente la strada. Se un modello non offre stimoli, indirizzi e orientamenti, risulta completamente inutile, come orientarsi in una mappa sbagliata o capovolta.

Un modello del potenziale umano, inoltre, può essere utilizzato in progetti concreti di business coaching, di consulenza, di training aziendale, di coaching sportivo, ma anche nel counseling, nei corsi di leadership, nella formazione.

Da quando esiste, l’uomo si sforza di costruire mappe per orientarsi e non perdersi. Abbiamo mappe degli strati più profondi della terra, dei mari, del cosmo, ma – stranamente – non ci vengono fornite mappe efficaci per orientarci nel nostro sviluppo personale o nei territori inesplorati del potenziale umano. Accompagnare le persone in questo viaggio è, per me, un onore.

1 Una logica conseguenza che non possiamo nascondere è che la medicina dovrebbe quindi occuparsi anche di questi fenomeni, unendosi alla psicologia e ad altre scienze, in un unica disciplina del funzionamento complessivo dell’essere umano.

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La visione della persona come sistema energetico

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano: metodi e tecniche di coaching e training”, Franco Angeli editore, Milano.

 

 

 

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, generare impulso, contributo e stimolo alla crescita della persona, dei team e delle organizzazioni.

Il metodo ha due distinte sfere di applicazione, tra di loro collegate:

 

  • crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling, e
  • sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

 

Il metodo contiene una concezione dell’uomo come articolazione di energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni.

Il metodo individua sei specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascuno di noi, indipendente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi, piccoli o grandi che siano. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuovi orizzonti che ci invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire, nel suo senso più profondo.

“Entrare” in queste sei celle ci permette di costruire progetti di crescita seri ed efficaci, siano essi la “liberazione” da ciò che ci frena, o l’aumento delle nostre risorse personali.

L’amplificazione delle energie e abilità di un individuo o di un intero gruppo o impresa, può proiettarci verso nuovi traguardi, e nuovi modi di essere. Prendere piena coscienza dei propri potenziali e lottare per raggiungerli è un’operazione che ha una propria sacralità, al di la del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Capire questo è essenziale oggi per fare del training aziendale serio, essere ricercatori o insegnanti degni di questo nome, ma anche nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo), nella consulenza, nei progetti di crescita personale, quando si esamina una persona o un’organizzazione, intesa come complesso di energie circolanti, il suo lato umano, il suo spirito vitale.

Il metodo HPM raggruppa tutti i fattori evidenziati in un modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) e li considera aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita.

Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna contributi, strumenti utili e operativi, è invece già possibile.

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Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani esistenziali superiori, ricercare, crescere.

Possiamo soffocare questa pulsione umana naturale, ma è come cercare di non respirare, prima o poi il bisogno viene fuori, ed è bene ascoltarlo.

Il modello HPM analizza l’essere umano come sistema energetico, una sinergia di forze (fisiche e mentali), la cui amplificazione può aumentare il grado di felicità, successo e potenzialità realizzativa.

Questo sistema complesso è composto da sottosistemi, che possono disporre di uno stato di carica variabile, e funzionare bene o male, con gradazioni intermedie di efficienza ed efficacia.

Per analizzare il potenziale globale della persona, non solo sul piano fisico o intellettuale, ma come essere umano nel suo complesso, abbiamo bisogno di localizzare quali sono i micro e macro-distretti su cui si può agire e come questi interagiscono tra di loro.

Dobbiamo anche saper muovere lo zoom di analisi dal micro al macro, dal particolare al generale, e viceversa.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

 

  • il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria, amplificazione sensoriale, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel team, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;
  • il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organis­mico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;
  • le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie che fanno la differenza in una prestazione manageriale o sportiva, le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente, le micro-abilità relazionali e comunicazionali da cui dipende un lavoro di qualità;
  • le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un ruolo; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne coscienti e in pieno controllo; la gamma delle abilità o portfolio di competenze di un individuo o di un team, e come questo deve essere rivisitato, riqualificato, formato, per essere all’altezza degli obiettivi che ognuno di noi si pone e delle sfide che vuole cogliere;
  • goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi e risultati attesi;
  • visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

 

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Al crescere della carica nei diversi sistemi aumenta l’energia complessiva della persona, dei team, e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e nutrirli.

La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi.

Le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio sulle sei aree.

Sul piano manageriale e sportivo, nei team e nelle aziende, le implicazioni sono altrettanto evidenti: lo stato di forma mentale e fisico delle persone, la loro carica motivazionale, le loro competenze, la loro progettualità, il loro spessore morale, fanno la differenza tra persone o team spenti, e persone, team o organizzazioni capaci, forti, motivate, piene di energia ed entusiasmo, desiderose di affrontare sfide e dare contributi veri.

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I diversi tipi di immagine di sé (self-image) e le distorsioni percettive

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, Franco Angeli editore, Milano.

Il dramma del Divario Fondamentale apre una grave problema di consapevolezza (e inconsapevolezza) su cosa sia necessario cambiare. Infatti, senza una visione chiara – guidando con un parabrezza completamente appannato – rischiamo di andare contro un ostacolo. Se poi i nostri sensi sono annebbiati, il rischio è ancora più grave. Nessuno – nei percorsi educativi classici (scuola, università) – aiuta seriamente le persone a fare focusing, depurarsi da credenze dominanti, cercare e creare un proprio percorso.

Parabrezza oscurati e alcool nel sangue non sono nulla rispetto alla mancanza di autocoscienza media su cosa e come sia necessario cambiare per migliorare se stessi e gli altri. Nelle aziende questo non è diverso, ma anzi peggiora. Ma come sviluppare autocoscienza e uscire dalle oscurità?

Una delle possibili strade è la comparazione tra diversi livelli di immagine percettiva. In un sistema d’immagine corretto, le diverse immagini da latenti diventano consapevoli, gli autoinganni si riducono e la realtà si fa più chiara.

Lo schema seguente espone cinque tipi di identità/immagini diverse (da noi identificati in ALM31), che producono un sistema di distanze a vari livelli.

Le tipologie di identità/immagine da noi identificate sono presenti sia nel singolo individuo che nella sfera aziendale:

Immagini/identità a livello individuale

  1. Real Self: Realtà oggettiva del Sé

Come sono realmente io, quali sono i miei veri pregi, i miei difetti, le mie abilità, le mie lacune, le mie dissonanze, come e cosa comunico realmente.

  1. Self Image: Immagine di sé

Come io vedo me stesso, come penso di essere, come penso di comunicare, quali sono i pregi, difetti, abilità e lacune che credo di avere (“credo”, non necessariamente ho).

  1. Ideal Self Image: Immagine del Sé ideale o immagine obiettivo

Come vorrei essere, come vorrei comunicare, quali sono i miei desideri di abilità e competenze, gli atteggiamenti e punti di forza che vorrei possedere.

  1. Immagine del Sé ipotizzata

Come penso gli altri mi vedano; come credo di essere visto dagli altri (credenza soggettiva, non dati di fatto).

  1. Immagine personale etero-percepita

Come gli altri mi vedono veramente, come valutano la mia comunicazione, il mio modo di essere, i miei comportamenti, atteggiamenti, abilità e lacune.

Una costante ricerca dei divari di percezione consente di vedere la realtà meglio rispetto all’angolazione unica.

Occorre enorme umiltà per sottoporsi al giudizio altrui senza sentirsi automaticamente aggrediti, ma utilizzandolo come feedback. Se un amico ci dice onestamente qualcosa su di noi che “fa male”, non è il caso di prendersela con l’amico, ma di valutare se abbia o meno colto qualcosa che merita approfondimento. Andare alla ricerca di una completa realtà oggettiva è probabilmente utopico, ma depurarsi da false rappresentazioni di sé (o della propria organizzazione) è invece possibile, riducendo il margine di distorsione.

1 Vedi ALM3: Trevisani D. (2003), Comportamento d’acquisto e comunicazione strategica, FrancoAngeli, Milano.

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Ciclo di seminari sul Potenziale Umano, percorso di formazione in 4 puntate

Ciclo di seminari, i sabati mattina di Novembre, formazione esperienziale sul tema del Potenziale Umano e Sviluppo Personale, con rilascio attestato finale: “L’UOMO COME SISTEMA ENERGETICO: AMPLIFICAZIONE DELLE FORZE FISICHE E MENTALI PER AUMENTARE FELICITÀ, SUCCESSO E REALIZZAZIONE” (cliccare sull’immagine per leggere il documento con maggiore ingrandimento)

Il tema dominante del nostro pensiero

Il tema dominante di tutto il nostro pensiero va ricentrato, e presto.

Articolo copyright dott. Daniele Trevisani  Studio Trevisani, Consulenza, Coaching, Formazione

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Dobbiamo spostarlo dal baratro infetto di banalità in cui il pensiero comune, la televisione, i media commerciali, le letture stupide, e la cultura mediana cercano continuamente di spingerci per non farci pensare.

Dobbiamo mettere al centro la sacralità dell’essere umano e il forte bisogno di non sprecare nemmeno una vita, nemmeno un giorno, nemmeno un minuto, in qualcosa che non sia legato ad una visione positiva, di emancipazione e di crescita.

E, per crescere o reindirizzare il pensiero, le buone intenzioni non sono sufficienti. Un metodo serve e aiuta a canalizzare questo sforzo positivo.

Le sei aree primarie del metodo HPM (divise in tre macro aree: energie, competenze, direzionalità) valgono sia per le prestazioni fisiche che per quelle mentali o intellettuali. Ed inoltre, si prestano ad una analisi delle performance sia individuali che di gruppo.

Vorrei esprimere un concentrato di senso in una frase su cui discutere:

Le performance sono un grande banco di prova per la condizione umana…

ci parlano dell’anelito umano a crescere,

esplorare nuovi orizzonti, ricercare.. capire chi sei…

 

Ogni gara o competizione mette in moto i principi delle performance, ogni sfida aziendale, sportiva, o personale, ogni progetto sociale, ci costringe a valutare il nostro stato di preparazione e le nostre energie.

Le buone intenzioni valgono poco se non diventano un progetto.

Il viaggio verso la crescita delle energie umane, fisiche e mentali, è un percorso di esplorazione appena iniziato.

Ognuno può progredire partendo da qualsiasi stato o condizione.

Una persona depressa può iniziare a vedere una luce, e questo è già progresso, tanto quanto il miglioramento di un record mondiale.

Una persona immatura può maturare… chi si sente inadeguato in un lavoro può cambiare, ri-orientarsi, formarsi…

Un’impresa in crisi può generare nuove idee o trovare nuove strade, così come un’impresa vincente può fare da traino ad intere nuove aziende e diventare fonte di utilità sociale per tutti.

Qualsiasi sia la condizione di partenza, non smettere di credere in se stessi, nella possibilità di crescere, di migliorare, di fare dei salti in avanti, è la sfida primaria.

Il miracolo della vita è talmente grande che va celebrato e non sprecato, e come sottolinea Einstein:

Ci sono solo due modi di vivere la propria vita: uno come se niente fosse un miracolo; l’altro come se tutto fosse un miracolo.

Albert Einstein (citato in Michael J. Gelb, Il Genio che c’è in te).

Ogni volta che alleni il tuo corpo o la tua mente, rendi omaggio al miracolo che in quel giorno ti sei potuto allenare e formare, mentre altri più sfortunati, non possono.

Ogni giorno che incontri un pensiero buono, ringrazia e fallo tuo.

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copyright dott. Daniele Trevisani  Studio Trevisani, Consulenza, Coaching, Formazione

Percorsi di Crescita Personale: iniziamo oggi…

Copertina volume Il Potenziale Umano, di Daniele Trevisani

Follow-up dal volume “Il Potenziale Umano“. Articolo copyright dott. Daniele Trevisani. Anticipazioni dal prossimo volume, fonte: Studio Trevisani, Formazione, Coaching e Percorsi di Crescita Personale

Pagina Facebook: http://www.facebook.com/pages/Il-Potenziale-Umano/143253229065311

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Per chi vuole praticare un percorso di Crescita Personale, sembra difficile passare dall’intenzione alla fase propositiva, dall’idea ai fatti, o trasformare energie negative di rabbia e insoddisfazione in energie convogliate in progetti e idee. Ma questo è il nostro scopo e lo vogliamo perseguire.

Per farlo, è utile qualche tipo di modello o metodo che ci dia una possibile mappa di lavoro. La Formazione vera, il training, la crescita, il coaching, l’educazione, sono strumenti utili se abbiamo localizzato aree di lavoro precise.

Il metodo HPM, sviluppato appositamente, inquadra come punti di formazione, concentrazione e miglioramento tre fattori primari:

(1) energie personali: le forze interiori di natura biologica e psicologica, energie fisiche/corporee ed energie psicologiche;

(2) competenze: le capacità, abilità (skills), i “saper fare”, costruibili tramite preparazione, training, coaching, con l’aiuto di specifiche regie allenanti, regie formative, regie di training, o regie di cambiamento;

(3) direzionalità: la canalizzazione di energie e competenze verso “qualcosa” di importante, la ricerca di senso, la visione, causa, spirito, ideali, volontà, obiettivi, goals, missioni.

Rispetto a tutte queste aree, facciamo nostra l’affermazione di Shakespeare[1]:

Sappiamo ciò che siamo, ma non sappiamo ciò che potremmo essere.

La direzione del cambiamento è verso ciò che possiamo essere. Fa leva sul  senso di orgoglio e di onore per le proprie azioni, scelte, e atti di vita, anche se impopolari o controcorrente, o contrari alla morale comune e alla concezione dominante, e capaci di elevare la persona oltre la sua stessa vita limitata.

La passione è per ciò che possiamo essere, per le vite che potremmo vivere, per le sensazioni che potremmo avere. Non è sempre necessario arrivare ad un risultato finale. Il traguardo è il percorso stesso. Il fatto in se di dare energie per qualcosa ha un senso proprio.

Come sostiene Herman Hesse:

La tua vita non sarà piatta e scialba se saprai che la tua lotta non avrà successo. Sarà molto più piatta se tu, combattendo per qualcosa di degno e di spirituale, pensi che lo dovresti anche ottenere.

Herman Hesse (da Letture da un minuto)[2]

Ci piace dare l’immagine del fatto che un lavoro serio e integrato su queste aree sia una lotta, una battaglia positiva, una guerra all’ignoranza, alla stasi, al pressapochismo, all’ipocrisia, alle catene, alle bugie… un viaggio verso la libertà e l’emancipazione di se stessi e degli altri.

Una frase dal film: “La ricerca della felicità” di Louis Malle è indicativa e propone con forza questo spirito:

Ehi non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa, neanche a me! Ok?

Se hai un sogno tu, lo devi proteggere.

Quando le persone non sanno fare qualcosa lo dicono a te che non lo sai fare.

Se hai un sogno inseguilo. Punto!

I passi concreti che possiamo attuare sono molti.

Iniziamo oggi a fare una camminata di dieci passi, e se aumentiamo di ogni giorno un passo, tra dieci anni saremo probabilmente maratoneti.

Iniziamo oggi ad infilare dei guanti e colpire un sacco, bastano due pugni. Ogni giorno due pugni in più. Tra un anno, avremo la capacità di fare interi round al sacco, sfogheremo tensioni con mezzi naturali, e il nostro corpo sarà cambiato.

Iniziamo oggi a documentarci sul panorama enorme delle arti marziali esistenti, scegliamone una che ci attira (morbida o dura, più spirituale o più fisica), e nello scegliere, seguiamo la nostra indole, deve essere un piacere, non un’ulteriore forzatura. Prendiamo un impegno con noi stessi. Andiamo al massimo entro 3 giorni a visitare la palestra o il Dojo, imponiamocelo come fioretto e facciamo un allenamento di prova. Se non ci piace, proviamo con un’altra.

Trovata la nostra strada, tra qualche anno, ogni allenamento sarà un appuntamento da non perdere con la nostra crescita interiore.

Iniziamo oggi a conoscere il mondo, partendo da un luogo magari vicino, nel quale non siamo ancora mai stati. E il prossimo, un kilometro più in la… sino a decidere noi dove sia il confine, e se vi sia.

Iniziamo oggi a spegnere la TV ogni volta che un programma ci sembra stupido. Tra un anno, probabilmente non guarderemo più tv commerciale, e sceglieremo da soli i nostri contenuti attivi, utili, stimoli di crescita. Iniziamo oggi ad andare in una libreria, a vagare tra gli scaffali in cerca di un titolo che “ci parli”, di qualcosa che ci possa suggerire che “lì” ci possono essere stimoli utili.

Il metodo HPM offre una varietà di aree su cui compiere piccoli passi: sulle energie fisiche, sulla forza di volontà, sulle nostre conoscenze e capacità, sullo studio, sul mettere in campo qualche progetto e darci qualche goal pratico, e soprattutto sul rimettere al centro di tutto valori veri rifiutando quelli di plastica.

Tanti piccoli passi concreti, in tante “celle” della nostra persona, equivalgono ad un’onda di crescita personale che cresce, e  non può altro che crescere di potenza, forza, intensità.


[1] William_Shakespeare, in Ofelia. Fonte: http://it.wikiquote.org/wiki/William_Shakespeare

[2] Fonte: http://it.wikiquote.org/wiki/Hermann_Hesse

Togliere i sassi dal proprio zaino ed aumentare le energie personali

Di Daniele Trevisani –  www.studiotrevisani.itwww.daoshi.it – esperto in Potenziale Umano e Formazione, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi

© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato sulla rivista Samurai Bushido, Marzo 2011.

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Esiste un momento sacro nella vita, in cui una persona decide se vuole o meno correre, o stare sul divano, o magari alternare le due cose, e se corre, vuole imparare ad accorgersi se ha o meno uno zaino sulle spalle, decide di guardarvi dentro. Può fare male, ma è un dolore che produce crescita.

Chi lo fa, si impegna per individuare i sassi e zavorre e distinguerli dalle cose buone, e lavora per iniziare a buttare fuori sassolini e macigni, liberarsi dalle zavorre, alleggerirsi, e correre più libero.

Questo momento è sacro, ma ad oggi nessuna istituzione lo promuove, anzi, è decisamente temuto. I liberi pensatori hanno sempre fatto paura.

Le performance sono forme di pensiero pratico e voglia di vivere in azione.

Esiste una vera sacralità dell’esistenza, come recita un capo Indiano:

Nascere uomo su questa terra è un incarico sacro.

Abbiamo una responsabilità sacra,

dovuta a questo dono eccezionale che ci è stato fatto,

ben al di sopra del dono meraviglioso

che è la vita delle piante, dei pesci, dei boschi,

degli uccelli e di tutte le creature che vivono sulla terra…

(Shenandoah Onondaga)[1]

Ognuno di noi ha ricevuto un’eredità mentale e genetica da chi lo ha preceduto, un patrimonio di risorse, per alcuni ricco e pieno di frutti, per altri disastrato e pieno di debiti non pagati, con la quale fare i conti. Di questo non abbiamo né colpe né meriti, è il nostro punto di partenza.

Da questo punto in avanti, tuttavia, si avvia la responsabilità della persona nel compiere suoi progressi, tentativi anche piccoli, una responsabilità potente e individuale del volere realizzare se stessi, provare a farlo, o progredire per quanto sia possibile, senza accettare la stasi o la passività (passività da non confondere invece con capacità di rilassamento, un tratto invece positivo).

E quando parliamo di potenziale umano o espressività, non esiste punto di arrivo o traguardo finale. Si tratta di un atteggiamento costante di amore per la vita e per la ricerca.

La scienza è un’amica importante, perché dimostra che esistono possibilità enormi di emancipazione umana e crescita del potenziale personale.

Una grande quantità di studi provano che è possibile mettere mano attivamente alla propria espressività e alle abilità, sia generali che specifiche. Ma per farlo occorre volontà e lavoro allenante.

Lo studio autonomo o di gruppo, la crescita voluta, le esperienze, ma anche il lavoro allenante, formativo, di coaching, di counseling, di training, sono forme per alimentare le nostre ali per volare. Amplificare il potenziale umano significa dare ali a chi non le ha, e aiutare le persone che già volano a volare ancora più in alto. Praticare Arti Marziali e Sport da Ring è già di per se un dono che la vita non ha offerto a tutti. Tante persone nella fame, nella miseria, nei regimi totalitari, o per handicap fisici, non hanno questa possibilità.

Ma quando si ha una chance di praticare e di vivere, bisogna usarla. Vivere significa esprimersi, e apprendere ad esprimersi. Con le tecniche giuste, anche persone con handicap hanno potuto amplificare la propria espressività, nel caso specifico l’espressività comunicativa, grazie al ricorso a training particolari basati su tecniche efficaci.

Ad esempio, se parliamo di comunicazione verbale, il prosodic modeling[2] – tecnica che allena la persona a gestire meglio il parlato, il ritmo e intonazione, la buona scansione delle sillabe – migliora la capacità di esprimersi bene, di generare frasi compiute e comprensibili, e ha prodotto effetti scientificamente dimostrati. Il miglioramento è un fatto concreto e possibile.

Ed ancora, è scientificamente dimostrato che le tecniche teatrali nelle loro varie forme (incluso il role-playing, lo psicodramma, le simulazioni) possono essere usate con successo nella formazione in azienda, e anche per aumentare l’espressività di ragazzi con problemi, con risultati tangibili, reali, forti.

Gli studi dimostrano efficacia su variabili determinanti dell’espressività, quali listening skills (capacità di ascolto), eye contact (gestione del contatto visivo), body awareness (consapevolezza corporea), coordinamento fisico, espressività facciale e verbale, focalizzazione e concentrazione, flessibilità mentale e problem solving skills, capacità di interazione sociale, ma anche tratti psicologici quali la self esteem (autostima)[3].

Sono ambiti localizzati, dettagli di un puzzle di crescita, ma sono avanzamenti possibili e mostrano una via, una possibilità reale.

Questo per noi significa tanto: le persone possono andare oltre la posizione di partenza ereditata e oltre lo stato in cui si trovano, qualsiasi esso sia: (1) problematico o patologico, (2) normale o mediano, (3) eccellente o agonistico.

Sicuramente chi si impegna in programmi di sviluppo, su qualsiasi stadio di partenza, sta facendo uno sforzo intenzionale per andare oltre l’eredità ricevuta, e ha un merito. Lo ha anche chi li supporta, i coach, trainer o terapeuti che vi si impegnano. Lo hanno anche i leader se e quando nelle imprese fanno crescere le persone. I leader sono coloro che sviluppano le persone e non solo risultati.

Espressività è liberazione di sé, energia, possibilità di emancipazione, dare aiuto e contributi agli altri e ai loro sogni, così come ai nostri.

Le performance e l’apprendimento sono atti di espressività che non arrivano ad un punto per poi fermarsi, sono piuttosto momenti di azione, seguiti da altri di riflessione, ricarica, e poi ancora ricerca di altre zone di espressività e altre crescite, altri progetti positivi, e ancora riposo, contributi, espressione, in un susseguirsi direspiro vitale”, un battito di vita profondo e potente.

Ci si può esprimere in una poesia, in una corsa, in un progetto aziendale. Ci si può esprimere aiutando il prossimo, nel volontariato, o in una ricerca spirituale. Ci si può esprimere nello sport, nel piacere dell’atto fisico, nel sentirsi parte di qualcosa, nell’insegnare.

Ci si può esprimere nel raccontare con vividezza un racconto o una favola ad un bambino. Non è necessario far soldi o vincere le olimpiadi per esprimersi. Ci si può esprimere nelle professioni, nel lavoro, nell’impresa, ma diventare ricchi non è sempre sintomo di successo vero, anzi, persone che hanno raggiunto obiettivi spirituali, come Gesù, San Francesco, i monaci buddisti, e altri illuminati, hanno deciso che il loro metro di misura fosse altro.

È questa la vera emancipazione: decidere quale sia il nostro metro di misura senza ingoiarlo a forza da altri, non assorbirlo passivamente e impregnarsi da quanto certa società vorrebbe a forza, il consumismo, l’esaspe­razione, il comportamento “produci-consuma-muori”.

Ma, quello che conta ai fini formativi, è che – qualsiasi sia il target o l’obiettivo – l’espressività sia percepita come fattore altamente “lavorabile”, così come lo è, più in generale, ogni ambito della crescita e del potenziale umano.

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Note sull’autore: il dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), praticante di oltre 10 diverse discipline, è inoltre Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, Kickboxing e MMA, Formatore e ricercatore in Psicologia e Potenziale Umano, è consulente NATO e dell’Esercito Italiano, Master of Arts in Mass Communication, University of Florida. Insignito dal governo USA del premio Fulbright per i propri studi sulla comunicazione e potenziale umano. Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano, nella formazione di istruttori e trainer per le discipline marziali e di combattimento.


[1] Onondaga, Audrey Shenandoah (1995), Nascere uomo, in Il Grande Spirito parla al nostro cuore, Red Edizioni, Milano.

[2] Young, Arlene R.  et al. (1996), Effects of Prosodic Modeling and Repeated Reading on Poor Readers’ Fluency and Comprehension, Applied Psycholinguistics, v. 17, n. 1, pp. 59-84, Mar.

[3] Bailey, S.D. (1993), Wings To Fly: Bringing Theatre Arts to Students with Special Needs, Woodbine House, Rockville.

Il Coaching Psicologico per le Arti Marziali e gli Sport da Ring

Il Coaching Psicologico per le arti marziali

Allenare la Mente, e costruire il ponte verso i nostri ideali

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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Immagine di sé (Self-image), identità e ruoli, conflitti in­te­rio­ri, pulizia mentale

Dobbiamo costruire un modello di noi stessi verso il quale tendere. Un prototipo, un concetto, un’immagine visiva, un modo di essere, che consideriamo un miglioramento, un’aspirazione da raggiungere. Senza aspirazioni, senza riferimenti, senza ideali, l’uomo muore (Daniele Trevisani)

L’immagine di sé corrisponde a ciò che noi pensiamo di noi stessi. Costituisce una forma di auto-percezione, di auto-immagine, con la quale ci misuriamo costantemente.

Risponde in pratica alla domanda “cosa penso davvero di me?”, “come mi vedo?”. La “fotografia di noi stessi” può piacerci o meno, ed in genere, quanto più e bassa tanto più diminuiscono le energie mentali. Con alcune importanti eccezioni da esaminare.

In genere le energie mentali crescono quanto meglio riusciamo a sentirci con noi stessi, accettarci, piacerci.

L’importante eccezione è la seguente: le situazioni in cui non ci sentiamo bene con noi stessi possono svolgere funzione positiva quando questa insoddisfazione si trasforma in un piano di lavoro e azioni concrete di cambiamento. In altre parole, non piacersi e macerarsi in questo stato è distruttivo per le energie mentali, mentre non piacersi, ma trovare una strada di miglioramento e praticarla, è un modo efficace per generare energie.

Uno dei compiti essenziali del coaching, sul piano etico, è quello di determinare se il “non piacersi” sia su variabili importanti e “giuste” o su aspetti di vita pericolosamente sbagliati, o assorbiti da modelli altrui improduttivi, mode effimere, esempi esposti dai media, il cui perseguimento finirebbe per fare danni elevati alla persona.

Ad esempio, molte modelle non si piacciono e vorrebbero vedersi sempre più magre, diventando anoressiche, con casi accertati di morti per anoressia.

Un coach (LifeCoach o FitCoach, o un consulente, o un medico) che aiuti questa persona ad essere tanto magra al punto di morire non è un coach ma un perfetto idiota e un delinquente. Aiutare le persone a perseguire obiettivi distruttivi è moralmente sbagliato. L’aiuto ha sempre uno sfondo etico.

Nessun problema invece per un coaching in cui una persona non sia soddisfatta delle proprie capacità di comunicazione, di negoziazione, o di leadership, o di vendita, e voglia migliorarle, o ancora non accetti un corpo evidentemente fuori forma, flaccido, e voglia essere tonico e sano, o ancora sia in perfetta forma ma voglia trovare una condizione agonistica di picco.

Trasformare gli stati di insoddisfazione in azioni positive quindi è uno dei compiti fonda­mentali del coaching.

Su quali temi può lavorare un coaching profondo?

Le forme specifiche di autoimmagini possono essere numerose e provenire da diversi angoli di osservazione.

Distinguiamo alcuni piani di osservazione o analisi:

Ü Self-image intellettuale: l’immagine di noi stessi sul fronte dell’intelligenza che ci attribuiamo, della capacità di interagire con le persone su un piano culturale, di usare la mente in modo raffinato;

Ü Self-image dello spessore umano e morale: il nostro auto-giudizio su co­­me applichiamo alcuni valori in cui crediamo, il nostro valore morale. Comprende il giudizio su alcune delle scelte fatte in passato, il gradimento o rifiuto che abbiamo per noi e il valore morale che ci attribuiamo. Sul piano del coaching, è essenziale che il coach riesca ad isolare i fallimenti passati e ripulirli da giudizi errati sul proprio spessore umano e morale (au­toflagellazione improduttiva), per inquadrarne invece le reali condizioni, situazioni e difficoltà incontrate;

Ü Self-image di ruolo professionale attuale: analisi limitata al piano della per­cezione di sé sul lavoro, come professionisti, lavoratori, o comunque nell’occupazione attuale;

Ü Self-image dei ruoli e identità del passato personale: autovalutazione e gradimento di chi e come eravamo in diversi momenti della nostra vita passata;

Ü Self-image bloccata nell’evento: un’immagine di sé negativa legata ad un evento critico (critical incident), es., una perdita, un fallimento, un atto spiacevole compiuto – che non viene accettata, superata, metabolizzata;

Ü Self-image relazionale: l’immagine che abbiamo delle nostre abilità di re­lazione con gli altri. All’interno, ancora più in profondità, possiamo trovare altri piani sempre più analitici, alcuni dei quali citati di seguito;

Ü Self-image della seduttività: l’immagine che abbiamo di noi come seduttori, amatori, comunicatori efficaci, sino alle relazioni sessuali;

Ü Self-image agonistica: l’immagine di ruolo che abbiamo di noi come lottatori, sia in azioni proattive (di “attacco” a problemi e situazioni) che difensive, quando qualcuno attacca il nostro territorio fisico o psicologico. La ricerca del prototipo interiore può assumere le sfumature di guerriero fisico, di mediatore, o di soggetto abile nelle sfide verbali, di chi “non si lascia pestare i piedi”, o ancora di chi “preferisce sempre parlarne”, o di uno con cui “è meglio lasciare perdere”, o del “perdente”, e altre;

Ü Self-image di ruolo genitoriale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni (o cattivi) padri o madri, reali o potenziali;

Ü Self-image di ruolo filiale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni o cattivi figli, rispetto ai doveri sociali introiettati e attivi in noi;

Ü Self-image corporea: l’immagine che abbiamo del nostro corpo, anch’es­sa connessa al gradimento o rifiuto che proviamo per essa (self-sa­tisfaction corporea);

Ü Self-image complessiva: la sommatoria di auto-immagini, il quadro com­ples­sivo della nostra auto-percezione.

Il quadro delle percezioni è spesso confuso e dissonante. Possiamo trovarci a nostro agio con una delle nostre auto-immagini ma non con un’altra.

Ogni autoimmagine non accettata può produrre

–          un calo delle energie mentali, quando emerge la rassegnazione verso lo stato negativo (da non confondere con auto-accettazione dei propri limiti), o si scatena senso di colpa e frustrazione associati a senso di impotenza, o

–          incremento delle energie mentali, quando la consapevolezza di un tratto negativo stimola il senso di orgoglio e la volontà di lavorarvi sopra, e viene individuato un percorso concreto nella direzione voluta. Anche piccolissimi passi possono sbloccare la situazione.

Per questo motivo, l’immagine di sé va chiarita sui diversi distretti psicologici e non solo in termini generali.

Un buon modo di partire è porsi la domanda (o porla, per i coach, formatori, terapeuti, educatori e counselor): In cosa sei diverso da come vorresti essere?… per poi entrare nello specifico.. es. Che tipo di manager vorresti essere, e in quali situazioni non si senti come vorresti? Ed ancora: Che tipo di professionista vorresti essere? Dove, in cosa, con chi non riesci ad essere come vorresti? Cosa ti piace e non ti piace fare in particolare?  Con chi non ottieni i risultati che vorresti? Quando accade? Esaminiamo in dettaglio come ti muovi: cosa ti succede quando…? Dove invece ti senti funzionare al meglio? In quali situazioni? Facciamo qualche esempio…

Un coaching psicologico si distingue ampiamente da un coaching strettamente sportivo proprio perché riesce a diventare il “ponte” che aiuta le persone ad avvicinarsi ai propri ideali non solo come atleti o praticanti, ma soprattutto come esseri umani che vivono a pieno la loro vita.

Vivere a pieno o vivere a metà? Molti atleti e praticanti agiscono e migliorano solo nel corpo e nelle tecniche, ma non nella maturità mentale e morale.

Chi riesce a generare questa relazione d’aiuto forte, deve essere fiero di sé come istruttore, come Maestro, al di là di qualsiasi aspetto legato all’agonismo, alla forza o alla potenza che possiamo generare nelle persone.

Nulla ha senso in una vita che ha perso di senso. Il coaching psicologico è quindi un motore di motivazione, uno stimolo a migliorarsi da qualsiasi condizione o stato siamo, uno stimolo ad accettarsi per poi tendere verso un piano superiore di ricerca.

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Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano e Psicologia, coach e formatore presso www.studiotrevisani.itwww.studiotrevisani.com e Direttore di www.medialab-research.com –  Insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Kumite, Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.

L’Energia Somatica, le energie del corpo e le energie mentali

La collega Cecilia Mariotto si sta occupando di un tema che trovo di estremo interesse: le energie del corpo e le cause profonde che permetto ad esse di esprimersi o invece – in caso negativo – le limitano.

Molti studiosi, dalla Bioenergetica di Lowen sino alle recenti scuole di terapia psicosomatica e terapia corporea, sono indirizzate alla riscoperta del rapporto tra corpo fisico e stati emotivi della persona, con risultati spesso sorprendenti. Recenti tendenze  di frontiera – nella formazione manageriale e nel coaching – cercano di portare il lavoro sul corpo al di fuori del contesto terapeutico e favorire una maggiore capacità dei manager, ma anche delle persone nella vita quotidiana, nel capire le proprie sensazioni corporee ad un livello più profondo.

Nel mio lavoro di ricerca durato oltre 10 anni ho potuto individuare 6 tipi di energie personali che possono essere – in un certo momento della propria vita – bloccate, depotenziate, o invece in stato positivo, o addirittura al massimo livello possibile. I 6 livelli sono:

  1. livello delle energie fisiche
  2. livello delle energie mentali
  3. livello delle macro-competenze
  4. livello delle micro-competenze
  5. livello della progettualità
  6. livello dei valori

L’interesse per questo sistema complesso riguarda manager, negoziatori, sportivi, e chiunque intraprenda un viaggio di scoperta delle proprie potenzialità. Riguarda anche chi opera sul potenziale e sulla crescita delle persone, siano essi psicologi, allenatori sportivi, educatori, formatori, coach, counselor, terapeuti, preparatori di team.

Ho trattato questi temi approfonditamente nella prima pubblicazione apposita, “Il Potenziale Umano”, e altre ne seguiranno

Copertina volume Il Potenziale Umano, di Daniele Trevisani
Copertina volume Il Potenziale Umano, di Daniele Trevisani

Non esiste una vera e propria scala di priorità, in quanto ciascuno di questi livelli è essenziale per la possibilità che anche gli altri si esprimano.

Finalmente, si affacciano sul mercato e sulla scena della formazione e del coaching metodologie che considerano la persona nella sua vera complessità. Per approfondire questi temi, sono disponibili (e verranno continuamente implementate) nuove schede di approfondimento.

Dedicheremo uno spazio apposito al tema delle energie personali nel prossimo numero della rivista online Communication Research & Human Potential, per la cui iscrizione (gratuita) è disponibile un form al link http://www.medialab-research.com/rivista.htm

Il link all’articolo di Cecilia Mariotto: http://www.ceciliamariotto.com/blog/articoli/il-corpo-la-nostra-energia-somatica