Distinguere le tipologie di stress. Stress bioenergetico e stress psicoenergetico

Estratto con commenti inediti dell’autore dal testo Il Potenziale Umano

Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance, di Daniele Trevisani (Franco Angeli editore)

Lo stress è un fenomeno molto esteso, pervasivo, e colpisce qualsiasi essere vivente. E’ una parte integrante della vita biologica. Essendo così diffuso, viene usato spesso come terminologia “buona per tutto”. Dire “sono stressato” significa tutto e niente, dal punto di vista del capire quale tipologia di stress stia accadendo e cosa in particolare stia colpendo. E’ il caso di imparare a distinguere, nel nostro e altrui interesse

Il contributo del Modello HPM e del capitolo dedicato allo Stress nel libro omonimo, è quello di avere individuato sei specifiche tipologie di stress, ciascuna delle quale ha specifiche caratteristiche.

Lo stress che accusiamo, può quindi essere dovuto ad una sola singola fonte, ad una combinazione di più fonti, fino alla combinazione e interazione di tutte o le fonti individuate dal modello.

La buona notizia, è che una volta individuata la tipologia di stress, possiamo capirla, affrontarla, e smetteremo di cercare colpevoli alternativi. Ci concentreremo su cosa conta davvero. A volte il rimedio può essere cambiare qualcosa di molto tangibile come il cibo. A volte, può riguardare il cambiare qualcosa di molto intangibile, come la nostra spiritualità, i nostri riferimenti, i modelli che prendiamo ad esempio.

Ci concentriamo su questo articolo sui due primi elementi dello stress: quello che colpisce il substrato biologico, e quello che colpisce il substrato psicologico. In pratica, lo stress “basale” della piramide del Modello HPM. Gli altri fattori, altrettanto importanti saranno oggetto di altri approfondimenti.

 Stress bioenergetico (stress fisico)

Riguarda la presenza di un compito o stile di vita che risulta troppo gravoso rispetto alle energie organismiche, fisiche, biologiche.

Tra questi: dormire troppo poco rispetto alle esigenze personali, alterare ripetutamente i ritmi sonno-veglia, svolgere lavori che impegnano eccessivamente alcuni apparati senza sufficiente tempo di recupero (es: apparato visivo), intasarsi di sostanze tossiche (fumo, alcool, cibi spazzatura, farmaci, smog e altro) senza valutarne le dosi e/o senza purificarsi o contrastare i “veleni” con sostanze riparanti o curative (integratori, cibo di qualità, aria sana, rigenerazione fisica).

Lo stress bioenergetico eccessivo e cronico emerge sia in casi di fatica acuta, oltre la soglia di riserva, che come forma di affaticamento cronico o fatica cronica, e va ad intaccare negativamente lo stato psicoenergetico, la volontà, la motivazione, e persino la sicurezza di sé, sino a distruggere progressivamente la salute fisica.

Possiamo essere aggrediti dallo stress da un “atto” o da uno “stile di vita non nostro”. Un’azione può aggredire il nostro corpo in modo acuto (es, fare un trasloco e farsi mal di schiena) o in modo cronico, es deprivarsi dal sonno un poco tutti i giorni. Il nostro corpo non ci parla se non quando siamo in grado di capire i suoi segnali. I segnali ci sono, ma noi non li sentiamo. A volte sono nel respiro che si fa corto o poco profondo, altre volte sono individuabili in tensioni croniche dei trapezi, o degli addominali, altre volte in micro-infiammazioni silenti ma dannose. Imparare ad ascoltare il corpo è una tecnica specifica (focusing) che si può apprendere in specifici corsi di Counseling, Coaching Corporeo, e altre tecniche dedicate.

 Stress psicoenergetico (energie mentali)

Si verifica ogniqualvolta le risorse mentali necessarie sono superiori a quelle disponibili e attivabili. Tra i casi, citiamo la condizione in cui vi sia un compito da svolgere che richiede energie motivazionali superiori a quelle disponibili, ruoli che il soggetto non sente come propri, o ancora manca la linfa vitale del sostegno del gruppo, o vi sono troppe persone che drenano le energie mentali rispetto a quelle che invece apportano energie all’individuo.

Fanno parte dello stress psicoenergetico anche le crisi di ansia (timore e attivazione negativa, generalizzata o specifica per situazioni) e le crisi di senso (perdita di un riferimento o significati nel proprio orizzonte).

Ad esempio, uno studente di chirurgia che non sopporti la vista del sangue e stia studiando medicina su pressione dei genitori si sta sottoponendo a stress psicoenergetico forte. È stress andare a lavorare in un ruolo che non piace e non si sente proprio. È stress fare nel lavoro ripetutamente un’azione in cui non si crede, ad esempio, per un venditore può essere stress ascoltare il cliente, se non crede fermamente nel valore dell’empatia ai fini della vendita.

È stress psicoenergetico ogni lavoro svolto malvolentieri, ogni relazione obbligata, non voluta o desiderata, forzata, ogni situazione emotiva che non corrisponde ai desideri.

Tali situazioni sono sicuramente comuni, ma la condizione di stress si manifesta proprio nel divario tra risorse energetiche in grado di attivarsi per far fronte (almeno momentaneamente) alla situazione, e il compito stesso.

Le tecniche di training psicoenergetico possono incidere favorevolmente sulla capacità di metabolizzare gli stressor, sulla sopportazione, flessibilità, capacità di straniamento e distanziamento, capacità di contestualizzazione degli eventi, sino alla superiorità esistenziale.

Il Principio N. 3 del Potenziale Umano, esposto nel metodo HPM, ci aiuta a sintetizzare questo quadro

Principio 3 – Stress management ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  1. l’individuo intraprendere azioni che superano le proprie energie totali disponibili, per troppo tempo, e senza recupero adeguato;
  2. l’individuo non impiega tempo e progetti all’interno della area di sfida, chiudendosi progressivamente;
  3. l’individuo non trascorre tempo sufficiente all’interno dell’area di comfort al fine di ricaricarsi e metabolizzare gli stressor;
  4. gli stressor sono di natura forte (per intensità, durata e ripetitività) tale da ledere la tenuta e la capacità di recupero, e l’individuo li affronta da solo, senza supporto emotivo e relazionale adeguato.

Le energie mentali aumentano quando:

  1. l’individuo intraprende azioni e sforzi correlati alle energie disponibili
  2. vengono avviati progetti e iniziative nell’area di sfida, con spirito positivo;
  3. tempo e modalità del recupero e della ricarica di energie sono adeguati;
  4. l’individuo ha supporto emotivo e relazionale per affrontare lo stress.

NB. Questo principio funziona come una formula matematica, è possibile fare analisi accurate tenendo in considerazione i fattori esposti, e capire su quali canali intervenire, solo dopo una forte fase di analisi.

Tra tutti, evidenziamo proprio il punto finale: il supporto emotivo e delle relazioni umane. Possiamo affrontare “quasi” qualsiasi cosa nella vita, se abbiamo qualcuno che ci sostiene, se possiamo avere supporto morale, sostegno morale, sostegno emotivo, in caso contrario, gli stressor ci sovrastano, le forze necessarie per imanere in piedi diventano incredibili e molto superiori alle nostre possibilità pratiche di generarle.

Estratto con commenti inediti dell’autore dal testo Il Potenziale Umano

Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance, di Daniele Trevisani (Franco Angeli editore)

 

La rana nella pozzanghera… (storie di ribellione e mancata ribellione)

Articolo di Daniele Trevisani, Copyright 2010, Studio Trevisani. Anticipazione editoriale dal volume Il Potenziale Umano.

… ogni essere umano possiede dentro di sè una energia che tende alla realizzazione di sè, e – dato un clima psicologico adeguato – questa energia può sprigionarsi e produrre benessere sia personale che per l’intero sistema di appartenenza (famiglia, azienda, squadra).

Oltre al clima psicologico favorevole alla crescita, è importante  la possibilità di non essere soli nel percorso e avere compagni di viaggio (condizione 1). Una condizione ulteriore indispensabile (condizione 2) è sapere dove muoversi, verso dove andare, poter accedere ad un modello o teoria che guidi la crescita.

Con questa duplice attenzione, lo sviluppo personale diventa un fatto perseguibile, non più solo un sogno o un desiderio.

Una persona, un’azienda, un atleta, una squadra, sono organismi in evoluzione che spesso anziché evolvere in-volvono, o implodono, si consumano.

Tutti desideriamo la crescita e il benessere ma a volte ci troviamo di fronte a risultati insufficienti (sul lavoro, o nei rapporti di amicizia, o nel nostro percorso di vita) e a stati d’animo correlati di malessere, sfiducia o calo di autostima.

Dunque, bisogna agire. Ma ancora più interessante – prima di affrontare il come agire – è capire quando nasce il bisogno. Alcune domande provocative:

  • Quali sono i limiti inferiori, i segnali che ci informano del fatto che è ora di cambiare, che qualcosa non va, o che vogliamo essere migliori o anche solo diversi? Dobbiamo aspettare di raggiungerli o possiamo agire prima?
  • Quando prendiamo consapevolezza del bisogno di crescere o evolvere?
  • Da cosa siamo “scottati”, quali esperienze o fatti ci portano a voler evolvere? Quali sono i critical incidents che ci segnalano che è ora di una svolta? Dobbiamo attenderli o possiamo anticiparli?

critical incidents possono essere eventi drammatici o invece di piccola portata, ma comunque significativi, come lo svegliarsi male e non capire perché. Può trattarsi di un accadimento che ci ha riguardato e non riusciamo ad interpretare, non riusciamo a capire cosa sia successo. Possono essere casi di vita come la perdita di un lavoro, o una trattativa andata male, una gara persa, un litigio, una relazione che non va, o anche solo la difficoltà a raggiungere i propri obiettivi quotidiani. Può anche trattarsi di una malattia fisica o sofferenza psicologica. In ogni caso, la vita ci presenta continuamente sfide che non riusciamo a vincere, e alcune di queste fanno male.

Spesso rimanere “scottati” (da un’esperienza o stimolo) è indispensabile per acuire lo stato di bisogno, ma – come dimostrano gli studi sulla fisiologia –  l’organismo degli esseri viventi si abitua anche a stati di sofferenza cronica e finisce per considerarli quasi accettabili. Finisce per conviverci.

La metafora della rana nella pozzanghera, vera o falsa che sia, è comunque suggestiva: leggende metropolitane sostengono che una rana che si tuffi in una pozzanghera surriscaldata dal sole reagisca immediatamente e salti via. La rana scappa dall’ambiente inospitale senza bisogno di complicati ragionamenti. D’estate, una rana che sia nella stessa pozzanghera – la quale progressivamente si surriscalda al sole – non subisce lo shock termico istantaneo e può giungere sino alla morte, poiché – grado dopo grado – il peggioramento ambientale procede, in modo lento e costante, e non si innesca lo shock da reazione.

Non ci interessa la biologia delle rane, se la leggenda sia vera o falsa, e nemmeno se questo sia vero per tutte le rane. Interessa il problema dell’abitudine a vivere al di sotto di uno stato ottimale o della rinuncia a crescere, la rinuncia a credere che sia possibile una via di crescita o (nei casi peggiori) una via di fuga o alternativa ad un vivere oppressivo, intossicato, o semplicemente al di sotto dei propri potenziali.

L’abitudine all’ambiente negativo porta ad uno stato di contaminazione e alla mancanza di uno stimo di reazione adeguato. Si finisce per non sentire più il veleno che circola, l’aria viziata o velenosa.

Bene, in certe zone dello spazio-tempo, del vissuto personale, l’aria è ricca di ossigeno, ma in altre, larga parte dell’aria che respiriamo è viziata, e non ce ne rendiamo conto.

In certe aziende, famiglie o gruppi sociali (e persino nazioni), la persona, e la risorsa umana (in termini aziendalistici) assomiglia molto alla rana: può trattarsi di uno stagno visivamente splendido e accogliente, con entrate sontuose e atri luminosi, ma che – vissuto da dentro – diventa una perfida pozza venefica nella quale non si riesce più a “respirare”, e si finisce per soffocare.

Nella vita gli ambienti circostanti mutano ma non sempre con la velocità sufficiente ad innescare lo shock da reazione, e ci si sforza di adattarsi o sopportare. In altre realtà opposte, l’ambiente è invece favorevole e permette all’essere umano di realizzarsi.

Lo sforzo di adattamento produce un adeguamento inferiore, un blocco della tendenza attualizzante: la tendenza ad essere il massimo di ciò che si potrebbe essere, la tendenza a raggiungere i propri potenziali massimi di auto-espressione. Il nostro scopo è invece di perseguire la tendenza autoespressiva ai suoi massimi livelli: la tendenza di ogni essere umano ad essere il massimo di ciò che può essere.

_____

Articolo di Daniele Trevisani, Copyright 2010, Studio Trevisani